“Prof, il mio cane piange.. posso consolarlo?”. Bei tempi, quando nel punto focale di una spiegazione, quando il docente appassionatissimo condivideva, nel conquistato attento silenzio, il pathos della poesia (o del brano musicale, del dipinto) e lo studente alzava la mano per chiedere di andare in bagno. Bei tempi. Ci veniva un attacco di nervi, ma era una routine conosciuta.
Ora, nelle videolezioni, le interruzioni sono parecchio più varie, e spaziano dagli animali domestici, ai fratellini ululanti, al “devo cercare un caricatore o mi si spegne il tablet, prof!!”, facendoci quasi rimpiangere l’improvvido bidello che spalancava la porta per consegnare una busta per la famiglia tal dei tali, ovviamente nel momento meno opportuno. Questa variazione “casalinga” dell’aula porta anche un’altra conseguenza: ha reso la vita dei ragazzini, più “asettica”. Quando normalmente gli alunni sporcano se stessi e il banco, di colla, per attaccare una stampa sul mitico cartellone 50 x 70, o quando poi si bucano con una puntina, appendendo il cartoncino al muro, oppure, se fanno il bagher decisivo nella partitella, con l’eroica scivolata sul linoleum… l’aspetto fisico della vita prende il sopravvento nella didattica, e menomale! Non si può vivere “virtualmente”, e dunque non si può fare scuola virtualmente.
Io insegno arte e, da anni, mi sono abituata ai nasini arricciati, quando sentono l’odore del Das, ossia la pasta da modellare. Molti alunni non sono più abituati a sporcarsi, perché nelle case, non è permesso. Appena io li riporto nella dimensione del “toccare”, però, non vorrebbero più uscirne, e spesso finiscono col pasticciarsi la faccia col colore o a ritagliare molta più carta di quella necessaria, o insistono per pulire la lavagna, starnutendo della povere colorata dei gessi. L’elemento del toccare, del contatto, di farsi i dispetti e poi abbracciarsi, è completamente proibito loro, da quasi due mesi ormai, ma nessun adolescente può crescere senza. È dimostrato che una ridotta quantità di stimolazione di tatto, impedisca il corretto sviluppo del cervello. Quindi mi chiedo: che danno stiamo portando a questi ragazzi, congelando i contatti dei loro corpi dentro degli schermi?
Ieri leggevo di un professore di pediatria che approva il prolungamento della chiusura delle aule, perché i bambini così non si passano, non solo il Covid, ma pure tutte le altre schifezze (dai pidocchi, al mal di pancia) che normalmente transitano fra i banchi. Questo pediatra auspica che, nell’ottica di essere più “moderni”, la scuola più avanti mantenga comunque una forte riduzione della frequenza delle aule, per favorire una più salubre e tecnologicamente avanzata didattica digitale a distanza.
Non ho dubbi che, dal punto di vista di infezioni, ma pure di aggiornamento informatico, questa scelta porterebbe dei vantaggi. Ma credo anche che l’impoverimento sensoriale dei ragazzi sarebbe incalcolabile. I ragazzi sono come i leoncini, devono scambiare, secondo me, graffi, starnuti e baci. Devono allagare un banco rovesciando l’acqua e poi pulirlo dopo la sacrosanta urlata di reprimenda. Devono toccare la mano della compagna carina e poi arrossire, togliendola di scatto. Devono fare le smorfie quando il prof non vede e sghignazzare, dando di gomito al vicino di banco. Nessun adulto, in una casa, nemmeno il più pedagogicamente preparato, può sostituire i pari. Il gap generazionale è insuperabile.
“Prof, mi scusi, vedo dallo schermo che ha arrotolato le maniche, fa caldo a casa sua oggi?”
“no guarda volevo imitare Marc Lenders”
“e chi è prof?”
Seguono lacrime di vecchiaia.