L’elezione del sindaco di Roma sarà il fatto politico più importante in Italia del 2021. Comprensibile quindi che i media, i partiti, alcuni leader politici ci pensino con grande attenzione. Non so cosa deciderà Carlo Calenda. A oggi è la candidatura migliore che sia emersa. Non ha bisogno dei suggerimenti di nessuno, tanto meno di quelli di uno che è totalmente fuori dalla mischia come me che, però, sono uno dei tanti che guardano a lui con simpatia e convinta attenzione.
Mi limito però a dire che le contraddizioni in politica prima o poi si pagano. Non si può oggi essere candidati col PD ed essere radicalmente all’opposizione del Governo giallorosso. Può esserlo l’Europarlamentare Calenda, non il candidato Sindaco di Roma sostenuto dal PD.
Non ci si può, poi, candidare a sindaco di Roma a capo di una colazione di sinistra – centro, (di questo sinistra – centro poi!) e rimanere leader di un piccolo partito che sta all’opposizione, che nasce contro il populismo pentastellato e il nazionalsovranismo della destra nostrana, ma anche in alternativa all’assistenzialismo statalista, che ormai è la nota dominante del PD zingarettiano.
Senza considerare che per crescere una forza liberademocratica ha bisogno di una posizione politica netta, chiara, rivolta a chi crede veramente nei suoi valori e nella necessità di scomporre l’attuale quadro politico e su questo misurare il proprio consenso elettorale.
La partecipazione al “tavolo ” della coalizione di sinistra a cui si appresterebbe la responsabile romana di Azione, annunciata ieri da Il Foglio, è fortemente contraddittoria con la più volte conclamata volontà di scomporre il quadro politico. Azione che si siede allo stesso tavolo di Fassina, Articolo 1, Sinistra Italiana in una versione bonsai dell’Ulivo prodiano non è credibile.
Soprattutto, Azione non è credibile se si siede a un tavolo in cui predomina l'”arrière penser” di appoggi dei 5S al ballottaggio in nome del “tutti uniti contro la destra” o di voti disgiunti compiacenti (e “segretamente” concordati in nome della tenuta del Governo ancorché pubblicamente negati). Tanto valeva sostenere Conte allora e partecipare da “grilli parlanti” libdem al Governo, spuntando così anche le “unghie” di Renzi.
Siccome la storia qualcosa dovrebbe pur insegnare, sommessamente ricordo che, proprio a Roma, Rutelli non si candido’ contro Fini con un rassemblement omnicomprensivo caratterizzato dall’essere “contro”. La candidatura di Renato Nicolini non fu una comparsata, ma il segno di un distinguo tra una coalizione riformista e una ‘di sinistra”, come lo fu quello a Torino tra chi sosteneva Castellani e chi voleva l’unità delle sinistre intorno a Novelli.
Bisogna evitare le contraddizioni. Essere tutti uniti “contro” non basta. Ricordiamoci il Governo Prodi 2006-2008. La chiarezza paga. Il pateracchio può far vincere, ma non consente di governare. Sono convinto che Calenda queste cose le abbia molto ben presenti, ma, come si diceva dalle sue parti 2000 anni fa: “repetita iuvant”.