Dicevano che ne saremmo usciti migliori. Che avremmo imparato qualcosa da questa segregazione forzata. Che finalmente la sostanza avrebbe prevalso sulla forma. Perché quando per mesi non vedi i tuoi genitori, i tuoi più cari amici, quando non puoi uscire se non per comprare cibo e beni essenziali, sei privato del calore di un abbraccio o di una stretta di mano, o quando non senti più i bimbi giocare per strada, devi per forza mettere da parte tutto il vacuo di cui finora ti sei occupato e privilegiare cose veramente importanti.
All’inizio di questa pandemia eravamo amareggiati ma tutti disponibili a scambiarci un sorriso dai balconi da cui partivano applausi e canti, in cui si apparecchiava la tavola per condividere il pranzo della domenica. Abbiamo veramente creduto che ne saremmo usciti migliori. Pian piano, però, quel sorriso, sincero e genuino, si è trasformato in ghigno in un’incredibile onda di ritorno fatta di rabbia, rancore e scherno delle istituzioni per la continua richiesta di precauzioni. Coviddi non ci n’è, andiamo avanti!
È l’evoluzione dell’involuzione. L’essere umano che si catapulta volontariamente in una forma primitiva di abbrutimento allenato da anni vuoti, fatti di nulla. L’apparenza, estremizzata fino allo spasimo e non contraddetta da nessun tentativo di dar voce alla sostanza, genera mostri.
L’ultimo ieri: su un canale della tv pubblica, si spiegava come essere sexy durante la spesa. Un siparietto degradante in cui una donna insegna ad altre donne che il ginocchio in su davanti allo scaffale è “un’opportunità”.
Sembrava la storpiatura dei film anni ’50 in cui mentre la protagonista bacia finalmente l’indefesso e romantico corteggiatore, l’inquadratura si concentra sulla gambetta di lei che si solleva e lascia gli spettatori sognanti di fronte alla promessa di amore incondizionato. Solo che quei film rispecchiavano un’idea, largamente condivisa, della femminilità coincidente con la riuscita di un buon pranzetto per un marito soddisfatto. Ma credevamo che dagli anni ’50 qualcosa fosse cambiato. Sembrava superata l’idea che la donna è l’angelo del focolare, che può liberarsi di mestolo e grembiule e fare quello che le pare, se le pare e, soprattutto, che la sensualità non è sculettare sui tacchi nelle corsie di un supermercato.
Abbiamo assistito ad uno spettacolo grottesco, brutto, vuoto, inutile, fatalmente coincidente con il 25 novembre, in cui ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ed è questo che forse disturba ancora di più: l’incapacità dei propinatori di cattivo gusto in tv (ché definirli autori mi pare esagerato) di consultare un banale calendario per sincerarsi, almeno, dell’appropriatezza del momento in cui sciorinare tanta povertà intellettuale.
Adesso ci aspettano giorni di talk show in cui si approfondirà in maniera serissima la condizione dei diritti delle donne in Italia e nel mondo. Saranno appuntamenti così importanti che gli accesissimi confronti tra opinionisti e benaltristi saranno solo un rumore di sottofondo. E poi tutto potrà tornare alla normalità e potremo scivolare di nuovo nel torpore ignorante e abbrutito che sa avvolgerci con tutto il suo rassicurante calore.