Una delle immagini simbolo delle Olimpiadi è italiana. Dorando Pietri che barcolla mentre taglia il traguardo della maratona di Londra 1908, sorretto dai giudici di gara. E’ da lì che inizia una lunga pagina di sport e politica, con il ricorso degli americani subito accolto e il campione italiano squalificato.
Come per una sconfitta Pietri è diventato famoso, così, per una disastrosa disfatta, il 27 gennaio 2021 potrebbe essere scritta una nuova pagina nella storia dello sport italiano. Il timore però è che questa storia potrebbe non avere il lieto fine. Non arriverà una coppa da parte della regina Alessandra, ma solo l’umiliazione riservata a pochissimi precedenti.
I fatti sono semplici. Il Cio contesta all’Italia la scelta di porre il Coni sotto l’indirizzo e la vigilanza del Governo. La storia non inizia in questi giorni. Già a novembre del 2018, Bach, il presidente del Cio, esprime le preoccupazioni dell’organismo internazionale sulle scelte normative italiane. Due anni e tre mesi dopo, l’allarme e la preoccupazione del mondo dello sport italiano sono ancora inascoltate. Eppure è pubblica la corrispondenza intercorsa e sono note le continue prese di posizione internazionali, quasi un disperato appello a rispettare le regole della Carta Olimpica.
Se non arriverà un decreto-legge in tempi brevissimi, gli atleti italiani potranno partecipare alle Olimpiadi, ma senza inno e bandiera. Trattamento riservato solo ai casi più gravi, nazioni in cui il Governo determina ogni aspetto della vita dei propri cittadini, in altri termini dittature. Oppure a chi ha frodato, commettendo la peggiore scorrettezza in ambito sportivo: il doping.
Ancora una volta, ai disastri del governo M5S-Lega, non ha posto rimedio il governo M5S-Pd, troppo preoccupato di mantenere i propri equilibri interni per occuparsi di questo e altri temi. La legge delega sullo sport è scaduta il 30 novembre 2020. Come sempre c’è un rimpallo di responsabilità, tra ministro e forze politiche. Il rischio dell’umiliazione è altissimo e sia Malagò, sia altri importanti dirigenti, come Petrucci, lo hanno sottolineato.
La soluzione di necessità e urgenza è invocata da più parti ma, nei giorni della crisi di governo, sembra che il tema interessi meno del nome del futuro ministro dell’agricoltura.