Ogni 27 gennaio celebriamo la Giornata della memoria e tutti, a diverso titolo, si interrogano almeno per un giorno sul suo valore con gli anni che passano.
Quelli che sempre più affannosamente tentano di mantenere vivo il ricordo; quelli che strumentalmente vorrebbero si passasse oltre; quelli che dicono “perché ricordare solo le stragi nazi-fasciste e non anche quelle sovietiche o cinesi”; quelli che oggettivamente non gliene frega niente, perché mai niente gli è fregato di niente e pure si infastidiscono al solo pensiero, ma non lo dicono per quel decoro tutto borghese che fa del qualunquismo l’ingrediente più rassicurante per se stessi, in famiglia, per la nazione.
Io penso che sulla memoria dell’olocausto si giochi oggi una partita diversa (come potrebbe essere diversamente, a distanza di quasi un secolo?) ma non meno significativa e importante. Innanzitutto sotto il profilo didattico, affinché le nuove generazioni no “non dimentichino”, ma prendano dimestichezza, si appassionino alla disciplina storica che rimane, malgrado l’endemico sfacelo della pubblica istruzione, il fondamento delle civiltà. Dunque la memoria, ma intesa come conoscenza e coscienza del proprio passato.
Secondariamente, per l’affermazione di una didattica adulta, qualcosa che serva più a noi, i cattivi maestri, quelli che tornano a casa raccontando ai figli che, tanto, tutto è uguale a tutto, che si stava meglio quando si stava peggio, che della storia, recente o antica che sia, fanno un frullato di opinioni massificate attraverso il chiacchiericcio distorto dei social.
Una riassunzione collettiva del valore della memoria in senso lato, farebbe si che le diverse “giornate” del calendario repubblicano si saldassero in un unico programma storico, in difesa dei valori costituzionali e democratici, sottraendo i singoli appuntamenti celebrativi al rischio, ogni anno più avvertito, di revisionismo d’un lato, di retorica dall’altro. Farebbe dell’ormai fitto calendario di occasioni commemorative un sistema a rete in cui si affermi il primo e più importante valore civile ed etico di una nazione: quello della consapevolezza collettiva.
Il ricordo dell’olocausto, da tale prospettiva, aiuterebbe anche chi, nello squallore della politica divisiva e miserabile messa in scena proprio in questi giorni, non riesce a capire che i passi indietro, nell’arco lungo della storia, non sempre sono grandi ed eclatanti come ai tempi del nazi-fascismo.
A volte le civiltà regrediscono impercettibilmente, giorno dopo giorno, anno dopo anno verso il baratro, e quel baratro praticamente mai assomiglia al passato. Più facilmente finisce per non assomigliare a niente di già visto, eppure fa orrore per la sua crudeltà.
Ricordare, talvolta, serve ad evitare che si formino nuove categorie di pensiero nichilista, serve a tenere ben salda la rotta delle conquiste democratiche, serve, in definitiva, a non scivolare nell’oblio. Chi sa un poco di scienze sociali e cognitive capisce quello che intendo dire. L’essere umano è portato alla dimenticanza per costituzione sua propria e collettiva. Se lo ha capito il figlio di un falegname duemila e venti anni fa, ne sono certo, potrai capirlo anche tu, mio caro lettore postmoderno.