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Gli uomini, i cani e la civile convivenza

La morte atroce di Simona Cavallaro sta tutta dentro un capitolo della nostra convivenza, mai chiaramente affrontato, dal quale dovrebbe scaturire la risposta alla domanda: la nostra convivenza sociale è di tipo post agricola o cittadina?

Quando il modello predominante era rurale, esistevano spazi che perlopiù cadevano sotto il controllo diretto dei suoi abitanti e il capofamiglia assumeva il ruolo di regista del lavoro e quello di responsabile della sicurezza di uomini, animali e cose.

E’ evidente che adesso le cose non stanno più così: le nostre ridenti cittadine e anche i piccoli borghi presentano un volto assai diverso. E noi siamo – e ci teniamo a sottolinearlo – cittadini. Anche i cani, di conseguenza, non sono più animali di cortile, avendo preso domicilio insieme a noi. E se un tempo bisognava avvicinarsi alla tenuta agricola per avere a che fare con un cane, ai nostri giorni basta uscire di casa per incontrare uomini e cani.

E’ cambiato – non sappiamo precisamente quanto – lo stare in società degli uomini e di conseguenza quello dei cani. Forse, però, non è stato portato all’altezza giusta il rapporto tra uomini e cani. Si dimentica – o non si conosce affatto – che il cane non esiste. Non esiste come soggetto. Esiste, invece, il padrone del cane. Questo lo sa benissimo il cane. Purtroppo, spesso, lo dimentica il suo padrone.

Quando il cucciolo entra in casa, è vero che farà amicizia con tutti coloro che trova, sono essi il branco nel quale vivrà, ma subito il cucciolo va alla ricerca del suo capo, appunto il capobranco. Da lui si sentirà protetto, lui ascolterà e da lui prenderà comandi. Dovrà essere il suo padrone, il suo capo, ad introdurlo e guidarlo nella comunità degli umani, nella quale il suo padrone vive la sua vita. In pratica si apre per il cucciolo una doppia convivenza: quella familiare e quella sociale.

Che vita farà il cucciolo mentre cresce e poi diventa adulto? Saprà fare solo la vita che sa fare il suo padrone. Se il suo padrone sa vivere con gli altri, altrettanto accadrà al cane. Se il suo padrone, già di suo, non dovesse riconoscere e saper vivere una vita che è fatta di condivisione di spazi comuni e anche di comportamenti consoni alla civiltà, allora avremo un triste doppione. Hai voglia di ripetere: i cani abbaiano, i cani sporcano, i cani sono aggressivi.

Non è vero nulla di tutto questo. I cani fanno i cani. Farebbero addirittura un po’ meglio, se non avessero preso lezioni (!) dai loro padroni. Concretamente: non c’è bisogno di conoscere i padroni dei cani, basta osservare come si comportano i loro amici a quattro zampe.

I nostri contadini sapevano dei loro cani. Noi, forse, un po’ meno. Vorremmo per i nostri cani una tolleranza esagerata, dimenticando che portare il cane al seguito è espressione di alta civiltà. Perché il cane è una specie di alter ego, così almeno vuole un vecchio adagio quando dice: “Si rispetta il cane per amore del padrone”. La stima è risalente e poi riflessa.

Diciamola con rudezza: l’amore per i cani non può essere solo questione di cuore, è anche questione di testa, di saper vivere e saper convivere. Per questa ragione esistono norme precise per l’adozione di un cane, per il suo stare in pubblico (sfera sociale) dove incontra persone che non sono suoi conviventi (sfera familiare).

Queste norme dovrebbero essere incluse tra quelle del comportamento del cittadino e tenute costantemente presenti da quegli organi amministrativi che ne regolano e tutelano la convivenza. La presenza di cani nel territorio non è più un’eccezione affidabile al buon saper fare del cittadino. L’amministrazione comunale dovrebbe tener conto che nel suo territorio ci sono uomini e bestie così come ci sono uomini e automobili. Con tutto quello che ne deriva.

Ciò che è accaduto a Soverato rivela probabilmente l’assenza di questa nuova configurazione abitativa del territorio che tarda ad entrare nel dovere e nel potere di una amministrazione che sappia fare il suo mestiere. Qualcosa manca al cittadino, qualche altra manca all’amministrazione. I cani esistono, ma per ciascun padrone del suo cane. Non esistono per l’amministrazione comunale che o non li vede o fa finta di non vederli, oppure ritiene di non doverli vedere.

A Soverato si sarà verificato qualcosa di simile. E’ andata in tilt la sicurezza sul territorio. E la morte di Simona ha innescato il suono di una sirena che non dovrà spegnersi mai né a Soverato né altrove perché sarà pure vero che il cane è il migliore amico dell’uomo fino a quando, però, anche gli uomini saranno sinceri amici del cane. E prima ancora degli altri uomini.

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