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La Cina, Taiwan e le tensioni nell’area indo-pacifica

9 Ottobre 2021, il discorso di Xi Jinping nella grande Sala del Popolo, in occasione della commemorazione della Rivoluzione del 1911, ricorda a tutti che “Taiwan sarà riunificata, è una questione interna, no ad interferenze esterne”.

Taiwan è il punto caldo dell’area indo-pacifica. La piccola isola asiatica è recentemente stata oggetto di diverse incursioni aeree militari. Solamente lunedì 4 ottobre, ben 34 caccia e 12 bombardieri, con capacità nucleare, cinesi sono penetrati nella zona di identificazione di difesa aerea taiwanese (ADIZ). 149 soltanto tra il 1 ed il 4 ottobre. Si tratta di incursioni e blitz non nuovi da parte delle forze militari cinesi, che si inseriscono in una più ampia strategia di pressione e sfinimento su Taipei.
L’Indo-Pacifico sembra sempre più diventare una regione chiave per gli equilibri egemonici delle decadi a venire.

La Corea, il Giappone, le Filippine e l’isola di Taiwan costituiscono la cintura di contenimento americana all’accesso cinese nell’Oceano Pacifico. Eccetto Taiwan tutti ospitano basi militari statunitensi.

Taiwan rappresenta per Pechino sia una questione strategica, che di immagine .
La questione è d’immagine perché una Taiwan riconosciuta sovrana ed indipendente rappresenta una chiara violazione del principio dell’Unica Cina, stabilito dopo il 1979.
Allo stesso tempo il problema è strategico, in quanto l’isola si trova a soli 140 km dalle coste cinesi, condizione che rende ancora più indigesto a Pechino il supporto americano al governo dell’isola, che si concretizza anche con contratti militari da milioni di dollari in funzione anticinese.
In aggiunta, l’industria taiwanese dei semiconduttori, la più avanzata e grande del mondo, rappresenta un asset chiave sia per gli americani che per i cinesi, i quali se la contendono a suon di sanzioni e investimenti.

Nonostante il primato economico, la penetrazione nei mercati globali, la massiccia presenza nel continente africano, la Cina rimane debole in casa propria. Non controlla il proprio giardino di casa, cioè la regione dell’Asia-Pacifico. Non controlla il mare di fronte alle proprie coste e non controlla le rotte commerciali, ancora saldamente in mano alla coalizione a guida americana.
Forzare questo equilibrio e guadagnarsi il proprio spazio vitale sul mare, conquistare le rotte e la supremazia sulla regione è di cruciale importanza per Pechino al fine di rivaleggiare globalmente alla pari con la coalizione occidentale.

Cambiare gli equilibri regionali in favore cinese non è però nei piani americani. Al contrario, gli sforzi diplomatici, militari e commerciali di Washington si intensificano nello sforzo di creare un polo di potenze regionali (Giappone, Corea del Sud, India, Australia, Filippine) capaci di controbilanciare la pressione cinese nell’area.
In quest’ottica si inseriscono sia l’accordo AUKUS con Australia e Regno Unito, che il revival dei QUAD e delle esercitazioni navali congiunte, con la partecipazione di una non più reticente India, spinta all’azione dalle recenti frizioni sui confini himalayani con il vicino cinese.

L’Indo-Pacifico e la sua stabilità rappresentano una vera sfida per entrambe le Potenze: qui si intrecciano i fili della geopolitica mondiale, con le potenze minori da un lato inevitabilmente attratte dalla possente economia cinese, dall’altro minacciate da questa e costrette a ricorrere alla sicurezza dell’ombrello americano, fortemente deciso ad impedire il consolidamento del primato cinese nella regione.

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