I diplomatici italiani amano scrivere, fa parte delle loro competenze, ma fuori delle cancellerie c’è anche spazio per la passione. Andrea Silvestri, ambasciatore a Skopje, in Macedonia del Nord, ha quella dei fumetti, che lo hanno accompagnato nelle diverse destinazioni diplomatiche, dalla Costa d’Avorio al Belgio. Il saggio che ha scritto riflette le sue scoperte e ci conduce a zonzo tra le grandi potenze del fumetto, come gli Stati Uniti, la Francia, tra le potenze involontarie, come il Giappone, tra quelle emergenti, Corea, Cina, senza dimenticare che tra i paesi che hanno finora scritto la storia dei disegni con le nuvolette c’è l’Italia, una potenza inconsapevole, come spesso ci capita, e che esporta i suoi migliori autori.
Perché un libro che unisce i fumetti alla diplomazia?
È una passione giovanile che ho portato all’estero. La nostra è una professione nomade e in ogni paese dove sono stato, osservavo i fumetti locali, cercando in essi una chiave di lettura politica. Pensiamo soprattutto a quelli classici americani di supereroi prodotti a cavallo della Seconda Guerra Mondiale e durante la guerra fredda. In ogni linguaggio pop, andando a scavare, è possibile trovare elementi di geopolitica, nel senso che il mezzo riflette come una società si vede e come vede gli altri. Ho preso dei casi per mostrare come riflettessero alcune tesi del pensiero dominante, utilizzando anche un approccio gramsciano.
Hai scritto una panoramica storicamente e geograficamente molto ampia del fumetto, anche proveniente da paesi esterni all’Europa. È un arte universale?
Certamente. È più forte e radicata in alcuni paesi, in Europa e negli Stati Uniti. Anche l’Italia resta un mercato molto importante. L’Africa ha una tradizione più recente, anche per le difficoltà del mercato editoriale. I fumetti sono un arte pop che rappresenta un linguaggio universale. Ci sono personaggi che riconosciamo in tutto il mondo e che sono riconoscibili anche dalle nuove generazioni. Sono immagini unite a parole che creano empatia.
Quali sono le superpotenze, le potenze emergenti o quelle che sono emerse del fumetto.
Mi sono concentrato soprattutto sui fumetti popolari. Direi che come quantità troviamo ai primi posti il Giappone, che pure in origine era una produzione rivolta al mercato locale, che interpretava i valori e i sentimenti dei giapponesi, ma che ha saputo intercettare alcune corde a livello mondiale. Una superpotenza involontaria. Ci sono ovviamente gli Stati Uniti, con la loro scuola dei supereroi, mentre in Europa abbiamo la forte tradizione franco-belga. Poi c’è l’Italia. Anche se relativamente più deboli rispetto ad alcuni anni fa, abbiamo autori molto validi, sia per il mercato interno che per l’esportazione. In Asia sono potenze consolidate la Corea del Sud e Taiwan. La Cina sta crescendo, partendo da una sua tradizione nata con la rivoluzione e controllata dal partito comunista. C’era anche uno storico avamposto ad Hong Kong. Da non dimenticare la scuola latinoamericana, soprattutto argentina, dove si trasferirono nel dopoguerra autori italiani come Hugo Pratt.
Quali altri paesi si affacceranno altri paesi? L’India, il Maghreb o il Medio oriente?
In India ci sono interessanti esperimenti, in cui si incrocia il fumetto con la sua grande tradizione iconografica e mitologica indiana. Ci sono esperienze molto interessanti nel Medio Oriente, penso a Persepolis che è nato in Iran, anche in Libano e qualcosa anche in Egitto e nel resto dell’Africa. Del resto, il fumetto è un’arte povera, che costa poco, basta un tablet e per questo è utilizzato dalle minoranze.
Nei fumetti classici troviamo i supereroi bianchi, americani, patriottici, che vivevano in un contesto americano ben preciso. La produzione attuale invece come riflette i cambiamenti della società?
Ho cercato di inserire questa lettura. La critica fumettistica ha coniato l’espressione del monomito del supereore americano, come Superman, bianco, etero e fedele alla fidanzata Lara. Una volta il mercato americano era diviso tra bianchi e neri e i cambiamenti verso l’integrazione sono cominciati negli anni sessanta. Ho un aneddoto a questo proposito. Nel 1966 Stan Lee creò la serie del “Sergente Fury” che si avvaleva del primo plotone completamente interetnico nella storia del fumetto: c’erano un irlandese, un ebreo, un tedesco, un italiano e un personaggio di colore, Gabriel Jones. Il colorista non si rese conto che si trattava di un afroamericano e Lee dovette mandargli una nota per avvertirlo. Successivamente la Marvel ha cominciato ad inserire personaggi appartenenti alle minoranze, come Black Panther, ed oggi c’è molta attenzione alle tematiche gender. Ricordiamo anche Wonder Woman che ha una lunghissima vita editoriale, femminista antelitteram, che ha creato molta autostima nelle donne.
Gli autori italiani della Disney inventarono Paperinika, dopo Paperinik.
È un caso molto interessante. Negli anni ’60 nascono i neri in Italia, in cui i protagonisti sono ladri, assassini, esseri demoniaci. In Italia non avevamo una tradizione di eroi ed invece creammo gli antieroi. La Disney Italia pensa quindi di creare Paperinik, parodia di Diabolik, che riprende i temi classici dell’identità segreta e del rovesciamento del personaggio, per poi arrivare a questa bellissima intuizione di Paperinika, l’alter ego di Paperina, che è il personaggio dominante nel rapporto di coppia e che usa le armi femminili come la cipria.
Nel libro metti in evidenza l’assenza di eroi in Italia. I personaggi creati durante il fascismo vengono meno dopo la guerra e appaiono gli antieroi che vanno contro i valori del tempo, oltre alle parodie. Perché?
Ci sono varie spiegazioni, che sono state fatte anche rispetto alla letteratura italiana, dove manca un personaggio simile a D’Artagnan o a Robin Hood, che sono simboli dell’identità nazionale. Non è per forza un aspetto negativo per il fumetto, anche come probabilmente contrappasso all’esperienza di ipernazionalismo del fascismo. Dopo la guerra gli eroi prodotti in Italia, come Tex Willer, erano quasi tutti americani e perfino gli autori cambiavano il nome per non suonare italiani. Aggiungerei anche i condizionamenti dei due partiti maggiori, entrambi con orizzonti internazionalistici, la chiesa per la DC ed il comunismo per il PCI. I tempi sono cambiati e soprattutto la Bonelli ha portato molte innovazioni con una crescita dei personaggi italiani.
Tuttavia il fumetto calato in una realtà completamente italiana sembra ancora molto debole.
Ci sono fenomeni interessanti in Italia come le graphic novel che hanno una forte attenzione alla realtà italiana, con inchieste ambientate nel nostro paese. Poi ci sono tentativi come quello di Pietro Battaglia, un soldato trasformato in vampiro che attraversa la storia nazionale. Bisogna però dire che oggi è difficile lanciare nuovi personaggi con serie senza fine. La tendenza attuale è il modello Netflix, miniserie contenute in un numero limitato di storie.
Eppure abbiamo un eroe italiano. Corto Maltese. Che però non è italiano ed è l’eroe anarchico per eccellenza.
I francesi erano convinti che fosse loro. È un personaggio nomade, sradicato, figlio di una gitana e di un maltese, senza radici, che esplora ed incontra altre culture. Riflette una lontana radice italiana. Un popolo di navigatori, di emigranti ed avventurieri.
Nel saggio parli delle Winx come un caso di fumetto italiano di grande successo internazionale che trascende completamente la realtà nazionale. Per avere successo devi diventare un prodotto globalizzato senza legami con la nazione?
È un prodotto che appartiene al regno del fantasy, una produzione nata in Italia, realizzata in Asia e che utilizza le tecniche americane di commercializzazione e merchandising. Riflette la grande vitalità della scuola italiana del fumetto, che esposta personaggi ed anche tantissimi autori in cerca di maggiori spazio di espressività.
Il Giappone invece smentisce la tesi della globalizzazione del gusto.
I manga sono molto giapponesi ma funzionano bene all’estero. Anche l’Italia produce fumetti che hanno successo internazionale. In Macedonia Alan Ford è conosciutissimo, pur essendo un prodotto molto italiano, impregnato di un humour nero meneghino che non funziona nei paesi anglosassoni. In Jugoslavia il Gruppo TNT era popolare, andava ad intercettare un umorismo balcanico nero e offriva spazi di libertà ai giovani. Vorrei anche dire che perfino i supereroi americani sono più sfumati rispetto al passato, più internazionale. In fondo, si tratta di personaggi che affondano in radici storiche, religiose e mitologiche europee, utilizzando archetipi che sono riconoscibili ovunque.
Anche gli italiani fanno manga.
Ci sono ottimi manga fatti in Italia, per esempio Attica, pubblicato da Bonelli, di Giacomo Bevilacqua, che usa stilemi giapponesi e ha la geniale intuizione di fare di Pinocchio il cattivo.
La globalizzazione ha scardinato i vecchi schemi del passato, economici e politici. Così anche per il fumetto, che è l’arte dell’esplorazione. Cosa hanno portato i coreani nel linguaggio fumettistico. E i cinesi?
Nel caso dei sudcoreani mi pare che i manhwa siano stilisticamente simili ai giapponesi. Sulla Cina, non saprei dire. Avevano una tradizione propria. Bisognerà vedere quanto, nel realizzare una produzione di massa, attingeranno alla tradizione o si ispireranno a stilemi internazionali già esistenti. Sono ancora poco tradotti. La Bao ha cominciato a pubblicarne alcuni, che mi paiono più rivolti ad un pubblico colto.
In conclusione, il futuro del fumetto sarà un misto di stili globalizzati e di radici locali.
Oggi i fumetti non hanno la stessa centralità che avevano nel XX secolo, e i giovani se ne sono allontanati, anche se al cinema vanno a vedere i supereroi della Marvel e della DC. È un arte per un pubblico più colto ed anziano, tuttavia, i fumetti sono un linguaggio universale capace di mescolare stili diversi e di utilizzare ogni genere di tradizione locale, in grado di rinnovarsi e di esprimere in forme nuove una visione del mondo, di se stessi e degli altri, che possono essere compresi ancora come strumenti di geopolitica.
* Conversazione con Andrea Silvestri, autore del saggio “Fumetti e potere. Eroi e supereroi come strumento geopolitico” (Edizioni NPE, 2020).