“Ci vorrebbe una rivoluzione!”. E’ così – e con altre varianti più colorite e altre ancora forcaiole – che usiamo commentare notizie di corruzione, concussione o spregio del denaro pubblico. L’esclamazione prende il via e prosegue con argomentazioni più o meno appropriate fino a quando arriva quella suggerita dal buon senso di chi si chiede: “Perfetto, la rivoluzione ci vuole, ma sapreste dirmi poi chi la farebbe?”. “Facile, la rivoluzione la dovrebbero fare con leggi severe: chi ruba va in galera e, semplicemente, ci rimane più a lungo possibile”.
Come dire: siamo alle solite, la rivoluzione è sempre quella trovata risolutiva concepita da molti e assegnata a pochi. E comunque, anche in questo caso, la rivoluzione sarebbe politica.
C’è stato in Italia – e ci sono ancora le sue lezioni e i suoi testi – un grande filosofo della politica, Norberto Bobbio, che un giorno disse chiaro e tondo ad un amico: “Le vere rivoluzioni sono quelle del costume, non quelle politiche”.
Quelle che investono il costume sono radicali, pervasive, impiegano mente e volontà, anche cuore perché nascono per essere desiderate e volute, scaturiscono da un lungo cammino che ha percorso la vita di singoli e di comunità. Producono valori condivisi e assicurano colore e sapore alla convivenza.
Guardiamo velocemente ad un caso avvenuto di fresco. La Guardia di finanza, che sicuramente dispone di una banca dati di non trascurabile potenza, ha preso in esame 400 richieste di benefici in tempo di Covid19. Parliamo di persone appartenenti a nuclei familiari che nei tristi mesi di restrizione e di vuoto lavorativo hanno dichiarato qualcosa che voleva dire: “Ci troviamo in condizioni di difficoltà economica e di indigenza tali che non ci consentono il minimo approvvigionamento di generi alimentari di prima necessità”. Segue data e firma. Il tutto sotto personale responsabilità. Cosa può seguire a tale richiesta, meglio, cosa ha fatto seguito? L’assegnazione di un sussidio calcolabile tra i 100 e i 1000 Euro. Chi ha chiesto certamente non poteva aspettare. Più urgente di quella posizione altre non ne esistono.
Controllare sarebbe stata operazione impraticabile, anche se più di qualcuno ne aveva ravvisata la necessità. Siccome, però, i nodi vengono al pettine e il pettine non lo usano solo i parrucchieri ma anche i finanzieri, giunge notizia che 110 di quei firmatari (su 400 richieste inoltrate) non hanno dichiarato il vero. Quello stato di indigenza (o di prostrazione economica) fa a botte vuoi in qualche caso con un reddito di cittadinanza percepito, in qualche altro con una indennità di disoccupazione e in qualche altro, addirittura, con l’intestazione di un regolare contratto di lavoro. Siamo dinanzi a documenti falsi. Sottoscritti in tempo di Covid19, del quale non si è smesso mai di dire che non ci avesse ucciso lui direttamente, ci avrebbe fatto uccidere dalla fame. Per adesso sappiamo una cosa: che la fame non ha ucciso, che gli Euro elargiti sono stati, in questo caso, 40.000 e che ne dovranno essere restituiti 120.000.
Cantilenava un amico in dialetto napoletano: “Chi è abituato a lamentarsi, si lamenta sempre, e anche quando ha fatto ambo dirà che per un punto ha perso il terno”. E’ lamento senza tregua, è “piatto ricco mi ci ficco”, che cos’è? Per caso, convinzione che allo Stato bisogna chiedere e finanche rubare sempre, senza mancare neanche un’occasione? Che cos’è? Fosse per caso costume? Cioè qualcosa che attraversa in lungo e in largo la mente e l’agire del cittadino che non si sente uomo giusto e retto se non allunga la mano nella buona e nella cattiva congiuntura? Che altro è? Una maledizione inguaribile che acceca e non fa vedere la vera e la falsa necessità e che acceca le menti anche quando intorno infuria una pandemia?
Non troviamo risposta. Per adesso ci sentiamo di dover dare ragione a Norberto Bobbio: la rivoluzione può attendere. Se a cambiare le cose potrebbe essere solo quella del costume, per la rivoluzione non siamo pronti. Non la possiamo fare. E non possiamo fare neanche quella politica per il semplice motivo che elettori ed eletti abbiamo la stessa testa, siamo fatti della stessa pasta. Gli eretici sono poco più di una minoranza, tra essi molti risultano invisibili. E va a finire che nei tristi giorni del Covid19 nessuno li ha guardati in faccia.