Sull’elezione del Capo dello Stato sta andando in scena un teatrino che non ha nulla a che fare con il bisogno di “aria nuova” che il post(?)pandemia richiede. La politica comporta, per carità, battaglie di posizionamento e di altrui logoramento, ma nell’attuale vicenda ci sono alcuni dati di fatto ovvi, oggettivi, che nessuno può raccontare in modo diverso da come sono.
È pia illusione che Draghi al Quirinale possa pilotare l’attività di Governo e garantire l’Italia verso l’Europa come se fosse premier. Spendere bene i 250 miliardi del PNRR e fare le riforme non è compito del Presidente della Repubblica, ma del Governo e del Parlamento.
Mattarella non è riuscito a fermare (ma ha firmato) leggi orrende, peraltro non ancora cambiate; non credo che Draghi avrebbe maggiore capacità persuasiva. E non basterebbe certo una sua telefonata all’UE e agli altri partner europei per convincerli, ancora una volta, che la “povera Italia” deve avere piu’ tempo, comprensione per le sue ataviche difficoltà per fare quello che, a nome dell’Italia non Mattarella, ma Draghi ha promesso.
Non esistono figure davvero autorevoli che garantiscano entrambi gli schieramenti. Esistono bravissimi navigatori nei mari burrascosi della politica, nocchieri che hanno attraversato le tempeste della politica, ma pochi incarnano quello spirito “repubblicano” che in questo difficilissimo frangente è richiesto sia al “Colle” che a Palazzo Chigi.
Chi ha testa sul collo sa che non è finito il tempo di una forte unità nazionale, che solo uno come Draghi può garantire di implementare il PNRR e che solo un Governo guidato da lui può fare le riforme (anche se comincio ad avere dei dubbi che ce la faccia, ma, sia chiaro, se non ci riesce lui non ci riesce nessuno).
Non capisco, quindi, perché Draghi debba salire al Colle e perché Mattarella abbia più volte detto che ha finito la corsa. A certi livelli bisognerebbe rendersi conto – e non sarebbe presunzione – della propria oggettiva (non soggettiva) indispensabilità.
Capisco il desiderio di contribuire a uscire dall’emergenza istituzionale, di non ripetere la vicenda Napolitano, ma, ricordo bene per aver partecipato da capogruppo in Senato a quella rielezione (nonché all’elezione di Mattarella) che essa fu legata all’avvio del processo riformatore che il Parlamento concluse, anche se, sciaguratamente, il popolo sovrano ne bocciò l’esito.
Questa situazione – oggettiva – di partiti incartati dentro a una logica bipolare che non regge più, perché fondata sulla reciproca delegittimazione, ha una sola, logica, conclusione: la conferma di Mattarella almeno fino alla fine della legislatura e l’impegno che lo stesso Presidente deve porre come condizione per la sua rielezione (così come fece Napolitano avviando il processo riformatore) a concludere le riforme concordate con l’UE e gli altri partner e l’implementazione concreta del PNRR, condizioni che solo la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi può garantire.
Senza questo, tra meno di un anno, salvo miracoli in cui ho sempre creduto e quindi..”spes ultima dea”…. l’Italia si ritroverà in posizione dialettica con l’UE e con gli altri Paesi che, nel frattempo, avranno ovviamente rispettato gli impegni assunti, senza piagnistei, vittimismi e inutile spocchia a cui troppo spesso l’Italia si è lasciata andare quando doveva giustificare le sue mediocri furbate.