Nell’intervista che ci ha rilasciato in occasione del centenario della nascita del Generale (https://ilcaffeonline.it/2020/09/27/ferri-nando-dalla-chiesa-il-primato-delle-istituzioni-su-tutto-questa-la-scuola-di-mio-padre/), il professor Nando dalla Chiesa ha fornito ai lettori de «ilcaffeonline» due spunti particolarmente importanti.
In primo luogo ci ha tolto ogni illusione: gli italiani la corruzione ce l’hanno nella testa e non basteranno dieci anni per estirpargliela, ma ci vorranno secoli.
In secondo luogo, alla domanda su quali “frutti” abbia dato, contro l’intenzione dei suoi carnefici, l’assassinio di Carlo Alberto dalla Chiesa, ha risposto senza indugio che la scuola di suo padre è stata quella del “primato delle istituzioni”. Non in contrapposizione con la famiglia e il suo valore, bensì in armonia con essi, poiché tra le funzioni della prima e fondamentale delle istituzioni vi è proprio la trasmissione del senso dello Stato.
La sfida epocale che ci lancia il quarantennale della strage di Via Carini, in cui persero la vita anche Emanuela Setti Carraro, moglie del Generale, e l’agente di scorta Domenico Russo, è allora quella di ragionare sullo stato di salute del rapporto che noi italiani intratteniamo con le istituzioni, cioè con la Costituzione e con la nostra storia.
Per ragioni logiche non si può che partire dalla scuola, alla quale compete la trasmissione del contenuto e dell’ethos della Carta. La domanda, formulata qualche anno fa dall’ANCI, di introdurre o, meglio, reintrodurre l’insegnamento dell’educazione civica, in quanto vera e propria disciplina dotata di un monte ore e di un voto, ha ottenuto una risposta politica con la legge 92/2019. Si tratta di una norma che presenta diverse criticità, ma che certamente ha il merito di costringere ogni collegio docenti ad affrontare sistematicamente, a livello didattico, la formazione civile delle ragazze e dei ragazzi, attraverso la produzione di curricoli efficaci e valutabili.
Ciò sta avendo una ricaduta positiva, anzitutto, su noi insegnanti, costringendoci a prendere conscienza del nostro rapporto con la Costituzione e con la politica – che è come dire con la virtù della speranza (vera e propria competenza professionale per un insegnante) – sia attraverso inevitabili discussioni sia grazie a corsi di aggiornamento (non tutto oro, ovviamente) dedicati ai molti importanti temi inerenti l’insegnamento dell’educazione civica. Come andrà con i ragazzi lo vedremo tra qualche anno (intanto loro ci danno diverse lunghezze sui temi dell’ambiente e dei diritti).
Che dire della politica o, meglio, di chi fa politica? Una tessera di partito continua a contare più delle istituzioni? Discorsi universali non se ne possono fare. Se faccio riferimento alla mia esperienza riesco a sentire una silenziosa foresta che cresce. Certo, parlare di contrasto al riciclaggio (e in generale delle mafie) continua a non portare voti e ancora troppo spesso le logiche che governano la costruzione delle liste e la suddivisione degli incarichi di governo e sottogoverno sono di tipo spartitorio, tra correnti e filiere (per non dire clientele).
Ma ho conosciuto anche tanti militanti, amministratori, deputati e senatori che davvero hanno a cuore le istituzioni. E sono disposti a difenderle con coraggio e a renderle efficaci e prossime sudando su documenti complessi o a corsi di formazione. E ovviamente consumando suole in giro per i territori che amministrano o rappresentano.
Sono processi lunghi, è ovvio. Non toccherà a noi vedere la terra promessa, ma certo abbiamo il dovere di perseverare nel cammino e nella rotta indicata da Carlo Alberto dalla Chiesa. Quel che soprattutto dobbiamo fare, però, è connettere l’impegno che viene dalla società con quello della parte migliore della classe dirigente, come minimo attraverso un’attenta selezione della medesima (il 25 settembre ne avremo l’occasione, non perdiamola!), ma anche senza temere di impegnarci direttamente. Magari prendendo una tessera di partito e facendola contare meno delle istituzioni.