Alkantara Fest, festival internazionale di musica folk, nasce nel 2004 nell’area nord-orientale siciliana attraversata dal fiume Alcantara. Da questo la manifestazione prende il nome e lo spirito stesso; vuole rappresentare un’energia che, nascendo dalle pendici dell’Etna, simbolo di esplosione creativa, ambisce a raggiungere il mare e così l’Europa. Per 15 edizioni il festival ha visto avvicendarsi artisti di provenienza internazionale e locale che hanno offerto la tradizione musicale dei loro paesi di origine. Occasione di confronto e valorizzazione del territorio, conferma la Sicilia come perfetto luogo di scambio culturale, atto ad accogliere diverse esperienze e tradizioni, così come la storia straordinaria di questa isola insegna.
ilcaffeonline ha intervistato Mario Gulisano, direttore artistico, ideatore e promotore del festival.
L’identità “glocal” (global e local) dell’Alkantara Fest costituisce un unicum della realtà culturale siciliana. Come vi accoglie il territorio?
Territorio è un concetto molto astratto. Andrebbe ridefinito il suo ambito. Dopo 16 anni di Alkantara fest, in cui abbiamo cambiato più volte pelle, spazi, formula e location, assecondando i gusti delle piazze, delle amministrazioni, dei sindaci e delle mode di turno, in cui il territorio era indefinito, vago e qualunque, abbiamo finalmente deciso di appropriarci del territorio, di definirne i confini, di identificarci con un luogo e uno spazio in cui il pubblico avrebbe scelto di venire a trovarci. Da qualche anno, stiamo rifondando lo spirito identitario di una piccola comunità, Pisano, nel comune di Zafferana Etnea in provincia di Catania, dove, superata l’iniziale diffidenza, il festival sta guadagnando fiducia e consensi, come un seme che ha sapientemente aspettato il suo tempo per germogliare, e adesso sbuca dalla terra per affrontare una nuova vita.
L’Alkantara Fest è una manifestazione di respiro internazionale, come ne sostenete l’intera organizzazione?
Alkantara fest è diventata una delle manifestazioni principali della nostra programmazione, pertanto le è riservata un’attenzione particolare all’interno del nostro calendario annuale, con un certo impiego di risorse già in sede preventiva. Al momento è sostenuta attraverso diverse strategie che intercettano fondi provenienti da più risorse. Innanzitutto l’intervento dell’Assessorato Regionale del Turismo e Spettacolo e del MiBACT, con contributi a valere su bandi appositamente predisposti. Gli incassi da botteghino e gli abbonamenti sostengono parte dei costi, soprattutto le spese di ospitalità degli artisti. Anche il Comune di Zafferana Etnea, che ha imparato nel tempo ad apprezzare il nostro lavoro, concede un contributo che va a finanziare la serata di apertura.
L’incontro tra i giovani e le esperienze musicali legate alla tradizione, raggiunge l’obbiettivo, da parte di questi, di riappropriarsi della propria identità?
Io non amo considerare la tradizione come qualcosa di immutabile nel tempo, semmai come una marea che si trasforma ogni istante sotto l’influsso delle correnti. In Sicilia la tradizione esprime al massimo questo concetto, al punto da non avere quasi un’identità precisa di stile, se si eccettua l’uso della lingua siciliana che l’accomuna. Ciò che cerchiamo di fare con Alkantara fest è offrire una fotografia allo spettatore con segmenti di altre tradizioni, principalmente europee, per come si sono cristallizzate e vengono rappresentate dagli artisti da noi invitati, e creare così un’occasione di confronto; è proprio da questo che nascono la spinta e lo stimolo verso la conoscenza. I giovani sono i destinatari per eccellenza di questo lavoro, poiché naturalmente dotati di curiosità e intraprendenza; non credo che debbano riappropriarsi della propria identità. Dovrebbero semmai permettere alla loro espressività di venire fuori, diventando essa stessa una nuova identità, al passo coi tempi, e facendosi stimolare da ciò che succede loro intorno. E noi vogliamo stare loro intorno.
L’Alkantara Fest quest’anno dovrebbe dar vita alla sua XVI edizione. Le restrizioni che ci vengono imposte dal momento che stiamo vivendo non sono poche, state valutando la possibilità dell’incontro virtuale con il pubblico attraverso le piattaforme streaming?
Non credo molto nel fatto che lo streaming possa sostituire lo spettacolo dal vivo. È vero che ultimamente il web è stato utile per avvicinare la gente e non far perdere il contatto con la musica e gli artisti, ma è importante considerarlo come uno stato di necessità. Alkantara fest non può prescindere dall’aggregazione, dal contatto, dalla danza, dalla chiacchera, dalla spensieratezza. La musica è un evento sociale, impossibile da veicolare in assenza dell’altro. Che non può essere virtuale. Pertanto, qualora dovessero perdurare le attuali restrizioni alla mobilità internazionale o inasprirsi le misure di distanziamento sociale, sarà molto difficile poter realizzare il festival per come è nelle nostre intenzioni, poiché non vorremmo distruggerne il senso.
Ethno Sicily, momento dell’Alkantara Fest, prevede sessioni di didattica musicale attraverso il confronto di trenta giovani musicisti provenienti da tutto il mondo. Potrà prendere corpo attraverso le modalità di didattica digitale?
Non penso. Ethno Sicily è un’occasione unica per i giovani musicisti di realizzare un workshop di musica folk residenziale della durata di una settimana che culmina nella performance finale. L’iniziativa, in collaborazione con la Jeunesses Musicales International di Bruxelles, di cui siamo membri dal 2019, contribuisce anch’essa a ringiovanire l’utenza e a diffondere il messaggio del festival per il mondo, perché i partecipanti, che hanno l’occasione di visitare il territorio e godere della bellezze naturali dell’Etna e del mare circostanti, veicoleranno il messaggio di Alkantara fest all’interno del network internazionale Ethno e ne garantiranno ampia circolazione e partecipazione anche alle future edizioni. In mancanza di libertà di movimenti fra stati, limitazioni di spazio e distanziamento sociale, non esiste Ethno.
L’emergenza sanitaria dettata dalla pandemia ci sta abituando all’isolamento, alla chiusura dei confini non solo tra nazioni ma anche tra persone. Un’esperienza come quella dell’Alkantara Fest può rappresentare uno stimolo a opporsi a ciò che rischia di diventare un nuovo stile di vita?
Io ne sono profondamente convinto. È ciò per cui lavoriamo anche adesso, e ciò che mi auguro possa accadere alla fine di tutto. È dall’arte e dalla cultura che dovremmo tutti provare a ripartire. Sparita la cultura, che è ciò che ci rende esseri umani, spariremo pure noi, o comunque si impoverirà drasticamente il livello di umanità del nostro Paese. È il momento di ripartire dalle realtà locali, di creare bellezza a partire dalle comunità, di guardarci in faccia, fare le squadre e rimettere palla al centro. Ma dobbiamo ripartire più sani, più motivati, più sinceri, più veri… più artisti. E poi ricostruiremo il dialogo, fatto di istanze e necessità, a cui l’arte ha da sempre cercato di dare voce, di fornire una risposta. I giovani saranno al centro di questo processo, perché a loro appartiene il mondo. Simbolicamente, anche se dolorosamente, l’epidemia, questo momento di passaggio, ci sta comunicando questo messaggio, e noi abbiamo il dovere di ascoltarlo. Ed è così che Alkantara fest vive questo momento, con i piedi radicati nel passato e lo sguardo rivolto al futuro.