“Un saluto ai miei fan e a chi mi segue, sono grato per il sostegno e la fiducia che mi avete dimostrato in tutti questi anni. Questa è una canzone mai pubblicata prima d’ora, l’ho registrata qualche tempo fa e penso che potreste trovarla interessante. State al sicuro, state attenti e che Dio vi protegga.”
La firma a questa breve didascalia, apparsa su Instagram il 27 marzo scorso, è quella di Bob Dylan; la canzone che vede la luce, invece, si intitola Murder Most Foul.
Il perché faccia tanto effetto una condivisione del genere, in questo esatto momento storico, non è particolarmente complesso da immaginare.
Per l’America, la morte di Kennedy fu uno spartiacque granitico tra ciò che poteva essere e qualcosa destinato a non realizzarsi mai più. Gli anni a seguire hanno visto Martin Luther King andar via, i Beatles attraversare l’Oceano fino in America, la Cina testare la bomba atomica per la prima volta e Bob Dylan ritirare il Tom Paine Award, riconosciutogli per il suo impegno a favore dei diritti civili, recitando un discorso di ringraziamento sghembo e confuso, in evidente stato di ubriachezza.
Murder Most Foul è la traccia più lunga che l’artista di Duluth abbia mai scritto; cinque strofe stracolme di riferimenti finissimi e citazioni trasversali compongono un racconto vibrante che racchiude milioni di vite e di storie diverse, come una goccia d’acqua e i suoi infiniti cerchi concentrici. Una lunghissima elencazione di sensazioni dal sapore ineguagliabile andate perse nei meandri della scelleratezza umana, partendo da quell’omicidio incredibilmente atroce, il murder most foul shakespeariano.
Quei decenni, devastanti in termini di violazione dei diritti degli afroamericani, non sono poi tanto distanti da questi anni in cui i mari si sono trasformati in cimiteri.
Siamo stati colpiti da una malattia “liberale”, che non ha chiesto alcun un visto per fare il giro del mondo in meno di sessanta giorni, non ha fatto differenza tra classi sociali, non ha dato la possibilità a migliaia di persone di salutare per l’ultima volta un parente deceduto.
Corsi e ricorsi storici.
Forse è anche questa la sensazione di disillusione che riecheggia oggi ancor di più nella mente di Dylan.
Bob Dylan è sì uno scrittore ma è ancora di più un cronista coscienzioso ed è così che va ascoltato: le canzoni sono vive nella terra dei vivi, non sono libri e non devono essere lette, vanno cantate.
Bentornato Dylan.