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Quel che resta del giorno

Dalle due alle tre mi sono rigirata fra le lenzuola sperando che il sonno ritornasse. Sono ricorsa ai classici tentativi di conciliarlo. Ho contato pecore, mucche, tori, ma gli unici numeri che registravo erano quelli dei positivi, dei morti, dei degenti in terapia intensiva. Ho cercato visioni serene, ma l’unica visione era quella del bitorzoluto Coronavirus. Ho provato il “respiro consapevole” secondo il diktat della mia amica buddista, ma l’immediata impressione è stata quella della mancanza d’aria. Mi sono arresa e mi sono alzata.

E’ strana la casa che sorprendo. E’ come se si sentisse libera di me e di vivere una solitaria vita da #iorestodisabitata. E’ come se patisse l’insofferenza della mia stabile presenza in questo tempo . E’ come se, con le sue ombre, con gli spigoli traditori, con le imposte abbassate mi salmodiasse la litania della mia mancanza. Cerco di aprire il balcone, ma una forza diabolica serra la maniglia. Tento di sedermi nella mia poltrona, ma oggetti puntuti me lo impediscono. Con mani tremanti anelo a introvabili interruttori della luce.

E’ questo il rassicurante nido, il focolare accogliente, la capanna di due o più cuori? Piuttosto l’antro del Coronavirus in allegra baldoria con tutti gli altri incubi preesistenti. Da dietro i vetri la città appare solitaria e silenziosa. #iorestodisabitata gode di un vuoto insperato, dimentico  di traffico, di voci, di TV, di locali insonni.

Faccio un ultimo tentativo prima di arrendermi ad un giorno troppo lungo: un libro e un tè.

Tè deteinato, purtroppo, vista l’ora. Il sentore però del bergamotto dell’Earl Grey mi riconcilia con il procedimento mutilante della teina. Riapro il libro che sto leggendo del nobel Ishiguro “Quel che resta del giorno”,  no,  non del giorno, penso, ma della notte. Abbastanza, perché anche io come il maggiordomo Stevens possa fare un viaggio nella mia vita tentandone un rendiconto. D’altronde è quello che questa epidemia ha richiesto ad ognuno singolarmente e all’umanità nel suo insieme. Sì, la pandemia ci ha contagiati tutti, malati e no, iniettandoci il virus dell’alt. Una inedita globalizzazione: tutti fermi, soli, a pensare a dove stavamo andando uno per uno e tutta intera questa nostra umanità. Tutti a fare i conti inserendo l’incognita del disorientamento futuro.

Forse come a Mr. Stevens ci è  stata concessa l’occasione di intraprendere il viaggio, di interrogare la nostra vita, di considerare se la fedeltà a qualcuno o a un compito è il tutto che dà senso all’esistenza o se invece non bisogna trovare il coraggio di aprire altre ali, abitare orizzonti sconosciuti.  Usciremo da questo viaggio domandandoci dove ha portato il cammino  costruito da noi uomini. Forse avremmo dovuto dare più spazio alla compassione reciproca. All’ Amore (sì, non storcete la bocca, quello con la maiuscola). E forse come Mr. Stevens potremmo domandarci se l’esserci ritrovati in una nuova situazione ci regala la possibilità di  cambiare e, pur continuando nel nostro tracciato,  andare daccapo.

Sussulto sentendo il libro cadermi sulle ginocchia. E dunque mi ero addormentata. Mi alzo. La tazza del tè è piena a metà,  ma va bene così. Metto il segnalibro fra le pagine e mi avvio a letto.

Patologia: insonnia per Coronavirus e non solo
Terapia: Tè Earl Grey deteinato 80°, infusione 2 m. Bere nelle ultime ore della notte, anche una mezza tazza                                     
Libro: Quel che resta del giorno:  leggere con partecipazione finché si chiudono gli occhi

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