Chi ha una spiccata attitudine da nerd e non ha perso occasione per controllare il doodle di Google, avrà notato che l’anniversario di oggi non è rappresentato da un disegno ma da un video. La motivazione è semplice. Il 20 maggio 2020 avrebbe compiuto 61 anni Israel Kamakawiwoʻole, un nome tanto complicato da ricordare quanto immediatamente identificabile dall’ascolto dei primi secondi di uno dei pezzi più iconici dell’era moderna. Fino al 1993, Iz – così veniva chiamato l’artista di Honolulu, aveva all’attivo due album, quasi sconosciuti oltre confine, e una lunga storia di lotte per il riconoscimento dei diritti civili e l’indipendenza delle Hawaii. La sua produzione artistica era fortemente indipendentista e volta a tutelare il folclore locale, anche tramite la presenza costante del suo inseparabile ukulele. Fu grazie a Over the Rainbow / What a Wonderful World, contenuta nell’album Facing Future del 1993, che l’artista riuscì nell’impresa di sdoganarne l’utilizzo, liberandolo da quell’etichetta mortificante di strumento da intrattenimento turistico. Israel Kamakawiwo’ole morì nel 1997 a soli 38 anni, a causa di una forte obesità; non arrivò mai a portare l’ukulele sui palchi di tutto il mondo ma l’impatto di Over the Rainbow nel panorama musicale fu straordinario: nel 2011 Eddie Vedder dedicò all’ukulele un intero album, Ukulele Songs, mai portato dal vivo in una tournèe promozionale ma con esibizioni live di tracce del disco, degli stessi Pearl Jam o tratte dalla colonna sonora di Into the Wild, appositamente arrangiate con l’ukulele. Ci piace pensare che se Iz fosse ancora vivo avrebbe ci avrebbe regalato un feat. con l’artista di Seattle, suonando il suo ukulele di fronte a migliaia di persone, viaggiando dalle Hawaii, a Washington D.C.. Magari sarebbe arrivato fino a Taormina, restando pietrificato dalla meraviglia del suono delle sue quattro corde, amplificate solo da nylon, legno e un’architettura risalente al III secolo D.C..