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Alla ricerca del tempo perduto

In principio ci fu il ritrovamento della teiera. Oggi, altrettanto casualmente, quello dell’unica superstite tazza. Una sola tazza sopravvissuta ad un servizio da tè, dono di nozze, per sei. Ma che volete che fosse, in quegli anni lontani, la rottura di cinque tazze quando la giornata era accelerata da sei figli piccoli in rapida – ripida – scaletta, un lavoro, i parenti e gli amici, la casa? Certo che una tazza ti cade dalle mani, non ne hai mica tre o quatto – intendo mani – per tenere contemporaneamente in braccio il più piccolo, dividere i due di mezzo che stanno per uccidersi, pettinare la primogenita che va da una amica, preparare un pranzo velocenutrienteaccattivante, spegnere la TV se no a Maurizio si fonde il cervello e dare un’occhiata alla ricerca sui dinosauri di Stano – d’accordo, lo so anche io che lì è questione di occhi e non di mani – ma intanto la tazza mi è caduta. Anzi, in poco tempo me ne sono cadute altre quattro. 

Oggi insieme alla tazza ho proustianamente ritrovato un brandello di quegli anni passati e non (?) irrimediabilmente perduti. Proust nella sua Recherce dedica addirittura un libro intero, l’ultimo, al tempo ritrovato e ci insegna la strada da seguire non per ricordare, che è sempre mestiere dell’oblio, ma per rivivere la vita passata che torna a volte imprevedibilmente presente con tutto il suo corredo di persone eventi luoghi, attraverso un profumo, un sapore, un gesto, uno sguardo.

“Mi portai alle labbra un cucchiaino di tè nel quale avevo lasciato che si ammorbidisse un pezzetto di madeleine […] e a un tratto il ricordo è apparso davanti a me […] così, ora, tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di casa Swann, e le ninfee dalla Vivonne, e la brava gente del villaggio e le loro piccole abitazioni e la chiesa e tutta Combray e la campagna circostante, tutto questo che sta prendendo forma e solidità è uscito, città e giardini, dalla mia tazza di tè.” (Dalla parte di Swann M. Proust).

Porto alle labbra anche io la mia tazza ritrovata, e a un tratto mi appare davanti una casa troppo piccola per due genitori e sei figli, una quantità indefinita di giocattoli, un puzzle di letti che magicamente compaiono di sera e spariscono di giorno, una cesta traboccante di vestitini, una tavola sempre pronta per essere apparecchiata o sparecchiata: il tutto dominato dal disordine. Un correre affannoso, una giornata troppo corta o troppo lunga a seconda se la misura è il da fare o la fatica. Un risuonare incessante di risate, di pianti, di canti, di gridi. Uno scambio di baci, di abbracci, di coccole, di via vai nel letto grande, di stringersi nel sedile di dietro della Simca. Una sequela di candeline da soffiare, di recite a cui presenziare, di favole da raccontare, di compiti da controllare. Un campionario di temperamenti, caratteri, tendenze, talenti da comprendere. Un fazzoletto pronto per le lacrime e una condivisione pronta per le gioie. Una serie sterminata di malattie infantili: la quinta, la sesta, la settima, oltre quelle regolamentari. Un pressante ricordare, stare attenti, dimenticare, rimediare. Un continuo essere presente, essere assente, essere contenta, sentirsi in colpa. Un misurato aiutare, indicare, avviare, incoraggiare, consolare. Un infinito occuparsi e preoccuparsi. Tutto questo è uscito da una vecchia tazza di tè.

Un tè di quegli anni passati, comprato al supermercato. Un tè veloce da rubare al giorno che corre, da bere in piedi, troppo caldo o troppo freddo. Un tè senza cerimonia del tè, un tè senza scelte perché è l’unico che c’è in casa. Un tè da dividere equamente fra la carica dei sei, con il cucchiaino. Uno a te, uno a te, aspetta che ora lo do anche a te, e tu non spingere. Troppo tardi!
La tazza è caduta.

Patologia : tendenza alla disattenzione e smemoratezza 
Terapia: rafforzativo della memoria:  Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust 
Controindicazioni: farmaco non adatto a lettori allergici alla lunghezza

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