L’entusiasmo dilagante con cui Governo e forze politiche di maggioranza hanno accolto la proposta del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, sul ridisegno delle modalità di determinazione del reddito e di versamento delle imposte delle partite IVA, suscita una sana preoccupazione in chi conosce davvero ciò di cui si sta parlando. Il motivo è presto detto.
La proposta del direttore dell’Agenzia delle Entrate parte da una idea, sicuramente interessante e apprezzabile, di “trasformazione” del reddito imponibile in un vero e proprio cash flow che contrappone incassi di ricavi e pagamenti di costi inerenti all’attività, per poi arrivare, solo a valle di questa “trasformazione” della base imponibile, a una liquidazione estremamente semplice, mensile o trimestrale, delle imposte sul reddito dovute su quel cash flow di periodo.
La reazione entusiastica di esponenti del governo e della maggioranza (tanto da far dire ad alcuni che il nuovo sistema partirà già a gennaio 2021) si è però concentrata direttamente sulla parte finale della proposta, cioè la periodicità di liquidazione e versamento delle imposte (con cui sostituire l’attuale sistema di saldo e primo acconto a giugno e secondo acconto a novembre), saltando a piè pari ogni approfondimento sulla prima parte.
Oggi come oggi, anche le partite IVA che determinano il proprio reddito per cassa (professionisti e microimprese) sono comunque tenute a compiere numerosi conteggi per passare dal “saldo netto di cassa” al “reddito imponibile” del periodo. Ci sono le spese di acquisto dei beni strumentali che vanno ricalcolate sulla base di meccanismi di ammortamento pluriennale del corrispondente costo, le plusvalenze, le minusvalenze, i numerosi limiti percentuali di deducibilità di talune spese.
Se tutto questo viene eliminato, trasformando effettivamente il reddito in un vero e proprio cash flow dell’attività, il costo per lo Stato nel breve periodo, in termini di minori entrate, è sicuramente non trascurabile, ma l’effetto di semplificazione per il contribuente è tale da renderlo non peggiorativo rispetto all’attuale sistema, anche se comporta l’effettuazione di un numero maggiore di versamenti.
Se però poco o nulla di tutto questo viene fatto, perché costa all’Erario e alla fine il vero obiettivo non è la semplificazione per i contribuenti delle regole di determinazione del reddito, ma la stabilizzazione per l’Erario del flusso mensile o trimestrale di entrate, ecco che la proposta, per cui la politica si sta entusiasmando, determinerebbe la necessità di operare tutti quei calcoli prodromici al versamento delle imposte non più una volta l’anno, bensì quattro volte o addirittura dodici volte. Da questo punto di vista, diventerebbe davvero la semplificazione “più pazza del mondo”.
Ecco perché fa paura l’evidente differenza tra l’apprezzamento cauto della proposta, da parte di chi la fiscalità delle piccole partite IVA la conosce sia a livello teorico che a livello pratico, e l’apprezzamento invece entusiasta di esponenti politici di governo e maggioranza che, pur ricoprendo attualmente ruoli in seno a ministeri e commissioni economiche, la fiscalità delle piccole partite IVA o non l’hanno mai conosciuta e praticata, o l’hanno evidentemente dimenticata.