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Angeli e fornelli

La signora Raffone quando morì il marito Angelo (Angelo di nome e di fatto, diceva) chiuse la levetta del gas, i fornelli, e non cucinò mai più. Continuò comunque a nutrirsi: due tuorli d’uovo crudi al mattino e due alla sera, durante il giorno quattro o cinque merendine Kinder e un distribuito litro di latte. Si concesse tuttavia sporadicamente una granita,da gustare seduta al bar vicino casa, di fragola perlopiù. Aveva allora 82 anni e visse con questo regime alimentare per altri 15.

La decisione fu presa allorché, svegliandosi quel mattino e vedendo ancora accanto a sé, nel letto, il marito che solitamente si alzava per primo e le portava il caffè, gli toccò leggermente il braccio e gli disse “Angelo, e il caffè? Questa mattina fai il dormiglione.” Angelo continuò a dormire quella mattina e per gli altri 15 anni che lei gli sopravvisse. Ma visto che Angelo non aveva ritenuto opportuno quel giorno accendere il fornello e mettere su la caffettiera, la signora Raffone decise che stava bene così. La cucina non serviva più.

Io allora avevo 35 anni, 1 marito condiviso con l’Inail, 6 figli in una scaletta da 12 a 2 anni, 1 Pina alla pari, 1 classe di  25 alunni, un numero indefinito di familiari, amici e ragazzini di varie età che circolavano nelle 24 ore per casa. E la visita della signora Raffone.

Ogni pomeriggio scendeva con borsetta e bastoncino le due rampe di scale che ci separavano. Si sedeva in quella che era diventata la sua poltrona imponendomi tacitamente di sedermi sull’altra che era diventata quella della visita della signora Raffone. Le offrivo una tazza di tè,  al gelsomino, gradiva solo quello. Seguivano dai 15 ai 20 minuti, non di più, di un repertorio ben preciso, riproposto nello stesso contenuto e ordine ogni giorno, 30 volte in un mese, 365 in un anno: Angelo di nome e di fatto e la sua dedizione, Claudice (Laudicetta accompagnata da smorfia nei momenti peggiori) che dalla Sardegna non si curava più di lei, Ettore invece, purtroppo per lei e per tutto il condominio, troppo vicino.

Il finale, pur essendo prevedibile, mi metteva sempre i brividi. La signora Raffone apriva la borsetta stipata di banconote e gioielli e diceva: “me li porto sempre dietro, non si sa mai. Prenda, prenda liberamente se vuole.” Io facevo scattare immediatamente la chiusura della borsetta e contemporaneamente una preghiera a Dio che conservasse intatto tutto quel bendidio (per l’appunto) altrimenti la prima ad essere indagata sarei stata io. 

Mentre preparo il pentolino con l’acqua del tè (nell’altra mano Il senso di una fine di Barnes che sto leggendo) un tè al gelsomino che mi riporta il profumo della pianta  che si spandeva sul terrazzino di quella casa di tanti anni fa troppo piccola e troppo popolata, penso a quelle uova che la signora Raffone rompeva direttamente nel lavello della cucina e di cui con destrezza, separando gli albumi, velocemente ingollava i tuorli. L’immagine della vecchiaia  con quel corredo equamente subito e voluto di perdite, allora mi inquietava e rattristava. Anche ora che ho un’età che mi avvicina più alla signora Raffone che alla giovane donna che ero. 

Premo ripetutamente la manopola del fornello che non si accende. Un guasto? Penso con orrore al tecnico che sarà introvabile, a una serie di noie. Cominciamo col chiedere aiuto telefonico a Emanuele.
Ma Mamma, non ricordi che prima di partire hai  chiuso la levetta del metano? Basta aprirla.
Me ne ero dimenticata.
Ma non sei rientrata già da due giorni?
Sì, certo.
E non hai usato la cucina? Chi ha cucinato per te?
E chi lo sa. Forse un angelo.

Patologia: disappetenza dovuta a svariate cause
Terapia: onde evitare picchi di colesterolo non seguire la sopraddetta dieta e limitarsi a bere più tazze di tè al gelsomino utilizzando il bollitore e non il fornello. E visto che non si perde tempo a cucinare leggere di filato Il senso di una fine di J. Barnes. 

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