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Novant’anni fa giusti nasceva a Milano Liliana Segre. Persa subito la madre, più tardi il padre, venne deportata nel campo di sterminio di Auschwitz, le furono tatuate cinque cifre sul braccio, affrontò la marcia della morte verso la Germania, per venire infine liberata dall’Armata Rossa nel campo di Malchow il primo giorno di maggio del 1945.

Non aveva ancora compiuto quindici anni. Divenne “un animale ferito”, come descriveva la sé del dopoguerra, costretto ad adeguarsi “ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza”. Lei, che evidentemente non voleva, o non poteva, acconciarsi all’oblio dello sterminio, divenne un’attivista della memoria. Accettò cioè la sua condanna ad essere eternamente fuori posto.

Il presidente Mattarella volle premiarne gli alti meriti sociali nominandola, quarta donna in assoluto, senatrice a vita nell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali. Sfacciato di un Capo dello Stato, anche lui a contraddire la sempre attuale avidità di spensieratezza e divertimenti! E di lì insulti e minacce quotidiane che le ribadivano il suo essere fuori tempo oltreché fuori posto, al punto da indurre il prefetto di Milano a provvedere alla sua tutela assegnandole una scorta.

A quanto pare la senatrice Segre infastidisce e, per mobilitare tanti e tali rancori, deve aver colto nel segno, deve aver toccato un qualche nervo scoperto della nostra contemporaneità. Ora, l’atto d’accusa non è mai limpidamente formulato giacché gli odiatori, specie quegli anonimi, hanno frequentazione men che occasionale colla limpidezza, ma è lecito supporre abbia in qualche modo a che fare con l’impudenza di essere sopravvissuta e per questo ricordare. Fastidiosamente ricordare che l’uomo è tale nelle vette come negli abissi, che ha molte dimensioni e a nessuna può sottrarsi, che non ha diritto di volgere altrove lo sguardo né può abdicare alla strutturale incertezza della sua natura.

Dev’essere questo che tanto e tanti agita, questo il segreto del suo successo: non aver voluto accettare il posto cui la si voleva destinare, mai. Non in una fossa, non in un ruolo, non nel silenzio del dolore.

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