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Le ragioni del SI: una piccola riforma, imperfetta, che ha il valore di mettere fine ad una discussione eterna

di Michele Bellini e Andrea Lamberti
 
Quale impatto avrà il referendum costituzionale sull’effettiva qualità della nostra rappresentanza? Molto probabilmente nessuno. Che si passi a 600 parlamentari o si resti agli attuali 945, non cambierà un granché. Non ci hanno, quindi, convinto le tante voci che si sono alzate da entrambi gli schieramenti per raccontare il voto di domenica come una minaccia o come un toccasana per la nostra democrazia. Sarebbe, infatti, semplicistico, se non addirittura preoccupante, pensare che basti cambiare il numero degli eletti per incidere così tanto sulla qualità di un sistema democratico.
 
È da questa considerazione che partiamo per motivare il nostro SI al voto di domenica, convinti che il miglioramento della nostra democrazia e della qualità della rappresentanza – di cui abbiamo un disperato bisogno – non possa avvenire senza che prima il sistema politico abbia riconquistato credibilità.
 
Una credibilità perduta dopo anni di promesse, fatte perché convenienti in termini di consenso, ma non mantenute perché considerate lesive dei propri interessi. Sono, infatti, almeno quarant’anni – dunque da ben prima dell’avvento del “populismo” – che circola l’idea di ridurre il numero di parlamentari. Poco importa il tipo di elettorato, il colore politico o le motivazioni di fondo, la diminuzione dei seggi a Montecitorio e Palazzo Madama si è trasformata negli anni in uno di quegli argomenti “sicuri”, che non fanno perdere voti, poiché godono di un sostegno popolare largo e trasversale. Parlarne è diventato un po’ come ribadire “l’importanza dei giovani” o la necessità di “fare le riforme”: formule sentite troppe volte, senza poi vedere risultati concreti.
 
Oggi si presenta l’opportunità di interrompere questo meccanismo dannoso e, così facendo, avviare un cammino di miglioramento della nostra democrazia rappresentativa. Una piccola riforma, sicuramente imperfetta, ma che ha il valore di mettere fine ad una discussione eterna. Anche questo è un punto cruciale: la politica deve imparare che non esistono solo le scadenze elettorali, ma anche quelle relative agli impegni presi. E, come per qualsiasi altra attività lavorativa, quando non si vedono i risultati, si perde credibilità. Non solo; se prendi un impegno e non lo realizzi, si crea un vuoto. E in politica ogni vuoto, prima o poi, viene colmato.

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