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Innaturale voglia di andare a scuola

Li sento scendere per le scale dal piano di sopra e abbandonando la colazione  mi affretto sulla porta con la mia tazza di  English breakfast tea. La famiglia è al completo, madre, padre e figli. Si va a scuola, come fosse il primo giorno. Ogni giorno è infatti una sfida vinta: anche per questa mattina la scuola apre i battenti. L’evento merita questa uscita gloriosa e comunitaria. Si ritorna sui banchi con regolarità dopo sette mesi. Nelle più sfrenate fantasie da alunna mai sarei arrivata a sognare sei mesi di vacanza e mai, nell’eventualità di un caso così eccezionale, avrei potuto immaginare di non esserne felice. Così come non lo sono stati i miei nipoti. 

Scendono trionfanti le scale che assumono l’aspetto delle grandiose passerelle di un palcoscenico e approdano al mio pianerottolo. 36 e 5, 36 e 8, e io 80 e 321 annuncia trionfante Francesco. Mi devo riprendere un attimo dal disorientamento per l’enunciazione di questi numeri. Mi aspettavo commenti e saluti. Comunque la temperatura è da lasciapassare. Mi raccomando non tossite o starnutite, intima Francesca alla quale non pare vero di poter andare a consegnare la figliolanza. No, mamma, è la risposta univoca. 

Giorgia apre lo zaino e mi fa vedere insieme a quaderni e astucci una pochette con salviettine igienizzanti, gel per le mani e naturalmente mascherina di ricambio, dovesse malauguratamente cadere a terra quella che ora ha al collo. Francesco mi dice qualcosa attraverso un velociraptor che gli copre la bocca. L’ha voluta mettere per forza, ma per lui non è obbligatoria, precisa Ester che per l’occasione ne sfoggia una con le firme fantasiose di tutta la classe. 

Ogni mattina sono emozionata. Rivedere i compagni, non ci posso credere. Le maestre,  l’aula… peccato che i banchi sono distanziati e non posso più chiacchierare tanto con la mia amica del cuore, Giorgia è un diluvio inarrestabile di parole che Ester frena chiudendole la bocca con la mascherina. Ma la maestra non mi fa fare la lotta con David piagnucola Francesco brandendo la Spada di fuoco. Niente lotte. A scuola devi stare buono e ubbidire alla maestra. È il padre che lo dice. No, io mi comando da solo, risponde la nuova generazione. Luigi sta per confutare il disprezzo delle regole, ma Francesca taglia corto e toglie la Spada di fuoco dalle mani di Francesco. 

Il gruppo riprende la discesa capeggiato da Luigi, prono sotto il peso degli zaini e chiuso da una punta di spada che fa capolino dalla gamba dei jeans di Francesco. Ma scendi per bene, sembri imbalsamato, lo redarguisce Ester. Buona scuola, lancio allegramente nel disinteresse generale dei giovani. Solo Francesca si gira a sorridermi soddisfatta con un sorriso a 64 denti. 

È strana questa esultanza generalizzata di ragazzi che vanno volentieri a scuola. Ma i giovani non hanno sempre tifato per la chiusura delle lezioni, non hanno sempre sperato in una assenza loro o degli insegnanti, non si sono sempre rallegrati al campanello di fine attività e non a quello di inizio? Non era quello il mestiere degli studenti quando la scuola faceva quello di Scuola? Questa senile assennatezza dei nostri figli mi fa misurare il termometro della paura, del pericolo: 80 e 321, ha ragione Francesco.  

Il portone si chiude e la casa piomba in un insolito silenzio. Ritorno alla colazione che ho abbandonato e pensando all’oggi della scuola, per prendere coraggio tolgo dallo scaffale la mia vecchia edizione universitaria della “Lettera a una professoressa” e faccio una ripassatina. Il ripasso è una pratica ieri e oggi sempre consigliata. Mi consola pensare a don Milani, quell’osteggiato prete che ha saputo guardare con lucidità, intelligenza e amore, il niente di Barbiana e ne ha fatto un modello educativo. 

E se invito studenti, genitori, insegnanti a fare una piazza, (naturalmente con obbligo di mascherina o virtuale) per pregare tutti insieme don Milani perché suggerisca a chi di dovere un’illuminata visione di Scuola? Magari don Milani il miracolo lo fa e, dopo tante diatribe, la Chiesa lo fa pure santo.  
 
Patologia: innaturale voglia di andare a scuola 
Terapia: rileggere la “Lettera a una professoressa” e, riprendendo a bere il primo tè, mettersi nella disposizione d’animo di chi crede che i miracoli sono possibili. 

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