Lo sport dilettantistico italiano, con il DPCM del 24/10/2020, si ferma. Un’attività che sta vivendo sul filo del rasoio dei continui provvedimenti di prevenzione sanitaria e che potrebbe pagare un pesante ridimensionamento alla fine di questo periodo difficile per tutto il Paese, alla pari di altri comparti fortemente impattati dalle decisioni restrittive delle Istituzioni. Nessuno può negare la pericolosità di questo virus e le conseguenze che sta lasciando e che lascerà sul piano psicologico, sociale ed economico su tutto il territorio nazionale. Sarebbe utile però valutare lo sport per quello che è e che rappresenta, cioè un potente elemento di coesione e integrazione sociale, un’area fondamentale del welfare nazionale e non per quello che invece viene spesso considerato, un’attività della quale si può fare a meno, o comunque secondaria rispetto ad altre.
Le statistiche ISTAT presentano dati estremamente significativi a favore delle precedenti affermazioni: nel 2018 gli italiani che hanno praticato sport sono stati 20.738.000, dei quali il 25,7% in forma continuativa. Parliamo di numeri importanti, che confermano la centralità del sport come fenomeno socialmente diffuso.
Ha ragione il Ministro Speranza quando afferma che non è urgente tornare a riempire gli stadi, ma sarebbe fortemente sbagliato confondere questa affermazione e il mondo del professionismo con la vasta area rappresentata dalle migliaia di associazioni sportive dilettantistiche, che costituiscono l’asse portante dello sport italiano, assieme alle Federazioni Sportive Nazionali, gli Enti di Promozione Sportiva e le Discipline Sportive Associate.
La maggioranza di queste associazioni rappresentano un punto di riferimento per migliaia di giovani delle periferie urbane e del territorio; sono una rete di aggregazione ed un argine alle contraddizioni della nostra società rispetto all’assenza di proposte integrate (cultura e formazione professionale, impegno sociale, sport, animazione) rivolte alle giovani generazioni. A loro si aggiunge il ruolo insostituibile della macchina organizzativa di Federazioni, EPS e Discipline Sportive, senza la quale sarebbe impossibile la programmazione delle attività, dalle competizioni agonistiche alle attività promozionali.
Inoltre in questi mesi difficili di convivenza con gli effetti della pandemia, l’intera struttura dello sport dilettantistico si è dimostrata estremamente responsabile ed è riuscita a rendere compatibile la pratica sportiva con i dispositivi di prevenzione sanitaria emanati dalle autorità pubbliche. Non ci sono stati particolari focolai attribuibili allo sport dilettantistico, per questo sarebbe un errore agire restrittivamente oltremodo su questa filiera nella sua complessità.
In virtù dell’ultimo DPCM, bisognerà trovare invece le modalità per sostenere l’intero comparto oltre l’emergenza, da chi associa a chi organizza. Un settore sportivo dilettantistico vivo e non depauperato, sarà utile per l’auspicata ripartenza delle attività sociali post Covid, aiuterà la ripresa delle relazioni tra le persone e permetterà di combattere le forme di isolamento che si sono amplificate in questo periodo di chiusure e di limitazioni nei rapporti.
Anche il mondo dello sport dilettantistico dovrà mostrarsi all’altezza del ruolo che svolge nella società e superare inutili concorrenze, cercando di potenziare ulteriormente le competenze degli operatori attivi nelle varie realtà, sviluppando le qualità complessive espresse e precedentemente sottolineate, continuando a giocare il ruolo che gli compete in un mondo in oggettiva difficoltà.