Ci risiamo. È come risentire una vecchia favola di cui è restato l’ordito, la trama. Ma è cambiato il tempo. Non ci avevano raccontato in un passato lontano, ma che a fare bene i conti non è lungo nemmeno un anno, che era arrivato un mostro cattivo e che dovevamo tutti tapparci in casa? Lo abbiamo fatto, malgrado la paura, con una sorta di allegria. Cantavamo dai balconi, sventolavamo arcobaleni, hashtag di andrà tutto bene, lievitavamo pani, ritornavamo al disatteso focolare della TV, messaggi e videochiamate. Insomma, aleggiava una sommessa seppur pavida euforia annullata solo quando alle sei, tutti davanti a qualsivoglia schermo, ad ascoltare il bollettino ufficiale con i suoi numeri di morte.
“Proteggiamo gli anziani”, e noi che non ci eravamo ancora ripresi dallo scoprire che dai 65 in su eravamo, a nostra insaputa, considerati vecchi, ci consolammo per l’immediato passaggio lessicale da anziani a nonni. “Proteggiamo i nostri nonni”. E noi ci riconoscemmo nell’icona dei vecchietti canuti, in poltrona con un plaid sulle ginocchia, con in mano il giornale o una maglia da sferruzzare, il gatto a fare le fusa. Abbiamo subito nascosto la patente, il recente brevetto di nuoto, l’innovativo colore di capelli, l’iscrizione al corso di yoga, l’abbonamento alla stagione teatrale, la gonna forse un po’ troppo corta, la bicicletta, le lezioni di lingua cinese, l’andirivieni dello shopping. E naturalmente abbiamo chiuso nell’armadio il fidanzato nuovo di zecca.
Ci siamo apprestati a fare la calza e a cullare i nipotini. Per fortuna calze di lana non se ne usa più, troppo pruriginose, e i nipotini dovevano stare alla larga. Abbiamo superato la deprimente notizia che da un giorno all’altro eravamo diventati vecchi con la consolazione e la sorpresa di sentirci amati, curati, protetti, vezzeggiati. Non c’era giovane che non fosse disposto a portarci la spesa, figlio che non ci telefonasse più di una volta al giorno, ministro che non raccomandasse la nostra salute, tutorial online inventivi e fantasiosi che non occupassero le nostre ore. Eravamo arrivati al punto che dovevamo fingere di dormire per essere lasciati in pace e finalmente dormicchiare un po’.
Questa era la favola che ci eravamo raccontati e che ora ci viene riproposta. Ma.
Aleggia una strana aria in questo autunno che poco ha a che fare con lo zefiro della scorsa primavera. Le formule sono le stesse, difendiamo gli anziani, proteggiamo i nostri nonni, eppure qualcosa non torna. Sarà quel modo sbrigativo di enunciarle. Sarà quella intonazione che il nostro udito, che capta forse meno bene i decibel ma benissimo gli umori, avverte. Sarà che i giovani del patto generazionale sentono il peso più dei sacchetti della spesa. Sarà che i figli hanno il loro bel da fare tra pargoli che non vanno a scuola, lavoro, tagli nelle buste paga e non possono più stare dietro al telefono. Sarà che qualcuno dice Evvabbè, ne sono morti tanti, ma erano vecchi, non indispensabili, non produttivi. E qualcuno aggiunge che si risolverebbe chiudendoci tutti dentro.
Sarà che la Tv propone repliche e che i corsi online ci hanno stufato. Sarà che non c’è bisogno di affacciarsi dalle finestre tanto si può uscire, ma nessuno ha voglia di cantare e di dire che andrà tutto bene. Sarà che di pane non ne vogliamo sentire più né il profumo né la parola. Sarà che i nipoti con questa scuola ballerina sono diventati più depressi degli adulti. Sarà che gli stessi nipoti non possono più venire a trovarci. Sarà che alcuni dei grandi vecchi, Sepulveda, Proietti, Lucia Bosè, Sean Connery, fanno da capofila a schiere di coetanei meno famosi e altrettanto o più amati. Sarà che fa notte presto.
Sarà che sarà è un verbo al tempo futuro. Ci vuole il coraggio di chi ha esperienza di tempi al passato per coniugarlo.
Patologia: stati di ansia
Terapia: niente tè, una bella camomilla addolcita di miele è quello che ci vuole, intanto guardiamo attentamente la copertina di “Di tutte le ricchezze” di Stefano Benni. Tanto basta.