La prospettiva è quella di tornare al passato remoto. Se tornassimo indietro nel tempo, in particolare nei decenni precedenti alla prima rivoluzione industriale della seconda metà del XVIII secolo, le fonti di energia erano quasi esclusivamente rinnovabili (acqua, vento, legna, olii vegetali) o derivanti dallo sfruttamento dell’uomo o degli animali.
Il successivo avvento dei fossili, a partire dal carbone, ha radicalmente cambiato il modo di produrre, la vita domestica e i rapporti sociali. Indubbiamente la storia dell’uomo ha subito un’accelerazione determinante con l’utilizzo degli idrocarburi fossili sia in termini di sviluppo economico sia nell’ambito degli equilibri politici internazionali. I rapporti di forza tra gli Stati, tra i popoli, iniziarono a misurarsi anche attraverso il controllo delle risorse energetiche. Questa deriva, che ancora caratterizza gli scenari internazionali, ha iniziato ad essere messa in discussione in forma strutturata dai primi movimenti ambientalisti organizzati a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo.
Il movimento ambientalista si inseriva nelle contraddizioni di un sistema economico, che aumentava le distanze e le disuguaglianze fra e nelle popolazioni e soprattutto per il progressivo deterioramento degli equilibri ecologico-ambientali e per le ricadute sulla salute degli esseri viventi, derivante da uno sviluppo industriale, dei trasporti e degli utilizzi domestici e commerciali, sempre più incompatibile con la sostenibilità ambientale. A seguire, il lungo dibattito suscitato dall’azione politica del movimento dei Verdi a livello internazionale, che hanno assunto anche delle responsabilità istituzionali di prestigio; la conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e il protocollo di Kyoto del 1997 hanno dato continuità alle attenzioni della Comunità Internazionale su questi temi.
Ma il 2015 è probabilmente da considerare l’anno di svolta nell’attenzione ai temi della sostenibilità ambientale: il vertice COP 21 di Parigi, la Lettera Enciclica di Papa Francesco “Laudato sii” e la sottoscrizione all’ONU da parte di 193 Stati dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sono gli atti che sono entrati con forza nel dibattito globale. Nel 2018 poi si è aggiunta anche l’iniziativa del movimento suscitato da Greta Thunberg. Pertanto nell’agenda politica internazionale si stanno imponendo ai primi punti dell’ordine del giorno le questioni relative alla lotta ai cambiamenti climatici, la salvaguardia degli equilibri ecologici, la sostituzione delle fonti di energia fossile, lo sviluppo di un’economia circolare e delle energie rinnovabili.
Saranno determinanti pertanto le scelte di questi e dei prossimi anni per favorire la transizione verso il pieno utilizzo delle Fonti di Energia Rinnovabile. Garanzia della continuità degli approvvigionamenti; sostituzione del mix energetico; riconversione degli impianti; investimenti per nuove infrastrutture, ricerca ed innovazione tecnologica; ricambio professionale; accesso garantito all’energia a tutte le popolazioni; rafforzamento dei programmi di efficienza energetica (consumare meglio, riducendo gli sprechi), saranno le questioni che caratterizzeranno gli anni della transizione. La strada da percorrere avrà ancora comunque una visibilità di almeno trenta anni. Le principali istituzioni internazionali parlano infatti del 2050 come punto di svolta e di passaggio dall’era del fossile al pieno utilizzo delle FER.
Sia il Green New Deal dell’UE che le Strategie Energetiche Nazionali (compreso il Piano Integrato Energia e Clima italiano) traguardano a quella data il raggiungimento dell’obiettivo. Sarà fondamentale accelerare la transizione con razionalità, avviando la sostituzione dell’utilizzo del carbone e del petrolio per usi energetici, aumentando in questa fase di transazione l’utilizzo del gas naturale, che a parità di utilizzo emette CO2 per il 25-30% in meno rispetto ai prodotti petroliferi e per il 40-50% in meno rispetto al carbone. Questo per evitare squilibri di continuità di fornitura al sistema produttivo e sociale.
Le vicende di questi mesi, derivanti dal diffondersi della pandemia da Covid 19, stanno evidenziando sempre più l’importanza della collaborazione internazionale, del coordinamento e dell’integrazione delle politiche economiche e sociali e di progetti condivisi per una più equa distribuzione delle risorse, a partire da quelle energetiche. Anche i progetti per la ripartenza non potranno non prevedere un nuovo modello di sviluppo basato su sostenibilità energetica e circolarità.
Sarà pertanto fondamentale un’iniziativa globale, a partire dalle scelte delle maggiori potenze economiche ed industriali come USA e CINA, ma a seguire anche quelle dell’Unione Europea, Russia edi altri Paesi con assetti industriali consolidati e in crescita; l’industria manifatturiera e i trasporti sono infatti i settori prevalentemente basati su lavorazioni energivore, oggi garantite in larga maggioranza dall’utilizzo delle energie derivanti dai fossili. Senza questa programmazione unificante e senza investimenti a sostegno promossi dai decisori pubblici, dall’imprenditoria e dalla finanza internazionale, gli obiettivi non potranno essere raggiunti. Si dovrà incidere pertanto sul mix dei consumi energetici che, al 2019, presenta i seguenti dati: Petrolio33.1% (-0.2% 2018); Gas 24.2% (+0.2% 2018);Carbone 27.0% (-0.5% 2018);FER (ad esclusione dell’idroelettrico) 5.0% (+0.5% 2018); Idroelettrico 6.4% (-0.0% 2018); Nucleare 4.3% (+0.1%2018) (BP Statiscal Review of World Energy 2020). Come si può dedurre dai numeri, l’esposizione nei confronti dei fossili è ancora fortemente diffusa.
Ma cosa intendiamo per energie rinnovabili? Il concetto di Fonte di Energia Rinnovabile si basa sul principio di generazione da fonti che non sono “esauribili”, che si riproducono nel tempo e che soprattutto nella quasi totalità (ad eccezione di alcune forme di biomasse) non provocano emissioni dannose. Sulla base della Direttiva Europea (2009/28/CE), recepita nella legislazione italiana con il Dlgs 28 del 03/03/2011, sono considerate “fonti di energia rinnovabile”: energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica (energia immagazzinata nelle acque superficiali sotto forma di calore) e oceanica (delle correnti marine, del moto ondoso, delle maree, del gradiente salino, talassotermica) idraulica, biomassa ( prevalentemente di origine vegetale, comelegname, degli scarti agricoli, degli sfalci e le potature, dei sottoprodotti di scarto delle lavorazioni agricole e alimentari, di alcune frazioni dei rifiuti solidi urbani, ecc….), gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas (ottenuti mediante digestione anaerobica di diverse tipologie di biomassa umida, anche in co-digestione; possono essere sia di origine vegetale – scarti organici, insilati, ecc.. – che animale – deiezioni, siero di latte, grassi, ecc…).
In questo contesto si colloca anche l’utilizzo dell’Idrogeno, al quale sono rivolte le attenzioni di alcune importanti holding energetiche; le caratteristiche di questo elemento chimico, permetterebbero di favorirne uno sviluppo significativo, fermo restando la progressiva soluzione di alcune questioni, che ne ritardano ancora un impiego stabile (costi, adeguamento impianti di trasporto, prevalenza di una sua produzione sostenibile). Rispetto a questo ultimo aspetto (produzione sostenibile), dobbiamo infatti distinguere le varie forme di fabbricazione dell’idrogeno, che presentano differenze sostanziali e prospettive diverse per la fase di decarbonizzazione e abbattimento delle emissioni di CO2: Idrogeno Grigio, ottenuto da fonti fossili (petrolio e gas naturale); quindi con emissioni di biossido.
Nella fase attuale oltre il 90% della produzione mondiale di idrogeno è di questa tipologia. Idrogeno Blu, prodotto dal gas naturale, ma con impianti di acquisizione e stoccaggio della CO2 emessa, che favoriscono generazione di idrogeno senza danni per il clima. Idrogeno Verde, generato avvalendosi dell’energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili (in particolare solare ed eolico), che provoca, attraverso elettrolisi (separazione), emissioni di idrogeno ed ossigeno a partire dall’acqua. Questa è la tipologia che garantirà l’integrale sostenibilità dell’utilizzo di questo gas.
Questa doveroso approfondimento di contesto introduce il tema della disponibilità trasversale delle risorse naturali a livello globale. Come abbiamo già descritto in precedenza, ci sarà bisogno di un intervento significativo di investimenti per le infrastrutture necessarie allo sviluppo e alla diffusione delle energie rinnovabili. Secondo il Rapporto “Global Trends in Renewable Energy Investment 2019”, pubblicato in occasione del vertice ONU sul clima, nel decennio 2010/2019, gli investimenti complessivi nel mondo per energia rinnovabile installata, sono stati pari a € 2.600 mld; nel 2018 la quota globale di energia elettrica prodotta da rinnovabili è stata del 12,9%. Ci sarà bisogno pertanto ancora di interventi finanziari importanti per raggiungere le previsioni di gran parte delle ricerche internazionali sul tema, e cioè che al 2050, almeno 139 Paesi al mondo potrebbero raggiungere l’autonomia energetica da rinnovabili (così come riportato da uno studio della Stanford University del 2015, noto come “Countries WWS”). L’obiettivo andrà accompagnato da un dato significativo che emerge sempre dal Rapporto ONU sopraindicato: nel periodo 2010-19, il costo di produzione dell’energia elettrica da rinnovabili è diminuito dell’81% per il fotovoltaico e del 46% per l’eolico onshore.
Questo elemento potrebbe aiutare sul piano sociale l’accesso all’energia per le comunità economicamente più fragili, fermo restando gli investimenti necessari già citati nelle righe precedenti. Studi effettuati dall’Agenzia Spaziale Tedesca, dimostrerebbero che, ricoprendo circa il 2% dell’area del deserto del Sahara (corrispondente alla superficie del Portogallo) di pannelli fotovoltaici, si potrebbe garantire il fabbisogno mondiale di energia elettrica. Inoltre l’Accordo sottoscritto in occasione del vertice COP 21 del 2015 a Parigi, prevede la garanzia di una cifra di 100 miliardi di dollari all’anno sino al 2025 da investire nei Paesi in via di Sviluppo, in un meccanismo finanziario virtuoso, finalizzato a sostenere lo sviluppo delle energie rinnovabili; meccanismodefinito nel gergo tecnico, finanza per il clima. Nella previsione di 100 miliardi di dollari, con il contributo di 20 miliardi di euro all’anno, l’Unione Europea rappresenta il maggior sostenitore al mondo di finanza per il clima.
Soltanto questi interventi potranno garantire un’infrastrutturazione in grado di supportarne lo sviluppo e la competitività delle energie rinnovabili rispetto alle energie da fossili. Questo ammontare di risorse richiede un’intensa e rinnovata cooperazione mondiale, un ruolo proattivo delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dei Paesi maggiormente strutturati sul piano economico e tecnologico, rafforzati da un dialogo crescente tra le Istituzioni pubbliche e gli operatori di mercato, al fine della ricerca delle risorse necessarie alla realizzazione. Molti sono e saranno i soggetti giuridici interessati come BEI, BERS, Banca Mondiale; a questi istituti si dovrà aggiungere l’incremento degli investimenti dei grandi Gruppi Energetici europei, soprattutto quelli a partecipazione pubblica.
I prossimi anni saranno determinanti per capire se l’intera comunità internazionale sarà in grado di garantire la transizione energetica, cruciale per una riconversione sostenibile della vita dell’intero pianeta.