«Georgia on my mind», la canzone scritta da Stuart Gorrell e Hoagy Carmichael nel 1930, diventata universalmente popolare grazie alla versione di Ray Charles, è stata adottata nel 1979 come canzone ufficiale dello Stato della Georgia (anche se, in realtà, sembra che Gorrell scrisse il testo per la sorella di Hoagy, Georgia).
Ma oggi, come hanno scritto Stephen Collinson e Caitlin Hu della CNN, «tutti a Washington hanno la Georgia nei loro pensieri», e non per colpa della vecchia canzone. Ieri scadeva il termine per registrarsi per i ballottaggi. E proprio quando credevamo che la lunga stagione elettorale americana fosse (finalmente) alle nostre spalle, tutti gli occhi sono puntati sulla Georgia.
Nello stato meridionale che Joe Biden ha conquistato per un soffio il mese scorso, il prossimo 5 gennaio si svolgeranno due ballottaggi per il Senato che contribuiranno a caratterizzare la sua presidenza. Se i due candidati democratici dovessero vincere entrambe le sfide contro gli incumbent repubblicani, i democratici raggiungerebbero il magico numero di 50. In caso di parità 50-50, infatti, a decidere il controllo del Senato sarà la nuova vicepresidente Kamala Harris che potrà esercitare i poteri che la Costituzione le assegna e votare in modo decisivo. Se invece i repubblicani dovessero conquistare anche uno solo dei due seggi in palio in Georgia, allora controlleranno il Senato e conserveranno il potere di bloccare le scelte, le leggi e le nomine alla Corte del gabinetto di Biden, determinando una impasse nella capitale che potrebbe strangolare la sua amministrazione.
La posta in gioco è molto alta e non c’è da stupirsi che sulla Georgia, come ha scritto il New York Times, si stia abbattendo una tempesta politica. La Georgia è diventata un chiodo fisso per un sacco di gente a Washington e, nel «Peach State», entrambi i partiti stanno dando fondo a tutte le loro risorse. La spesa per la propaganda elettorale nel secondo turno ha già raggiunto i 300 milioni di dollari. L’ex presidente Barack Obama sta sostenendo i candidati democratici (il Rev. Raphael Warnock e Jon Ossoff) su Zoom. «Non si tratta solo della Georgia», ha detto Obama in un evento virtuale. «Si tratta dell’America e del mondo».
Anche il presidente Trump ha smesso di tenere il broncio ed è volato in Georgia con la moglie Melania sabato scorso per il suo primo comizio dopo le elezioni presidenziali. A dire il vero, il presidente uscente potrebbe non avere aiutato granché i senatori uscenti David Perdue (sotto tiro per aver realizzato un guadagno sbalorditivo vendendo e poi riacquistando le azioni della Cardlytics, una società con sede ad Atlanta, si è rifiutato di partecipare ad un dibattito con Jon Ossoff) e Kelly Loeffler (che invece nel corso di un dibattito si è rifiutato di ammettere che Trump ha perso le elezioni).
Trump ha vomitato sciocchezze per più di un’ora e mezza, affermando (ancora una volta) falsamente di avere vinto le elezioni presidenziali dello scorso novembre (in precedenza, aveva esortato il governatore della Georgia a convocare una sessione legislativa speciale per rovesciare la vittoria di Biden nello Stato). Tanto che lo stesso Geoff Duncan, il vicegovernatore repubblicano della Georgia, domenica scorsa ha ribadito alla CNN: «Ho votato per il presidente Trump. Sfortunatamente, non ha vinto lo Stato della Georgia». Duncan ha aggiunto, inoltre, che «la montagna di informazioni false» del presidente rischiano di essere controproducenti. Gli strateghi repubblicani sono, infatti, molto preoccupati: se gli elettori prendono per buone le affermazioni di Trump e credono davvero che il voto in Georgia sia stato truccato, potrebbero disertare i ballottaggi.
Anche a prescindere dal significato che oggi assume in relazione all’equilibrio dei poteri a Washington, la vicenda politica della Georgia è molto interessante. Biden è il primo democratico dai tempi di Bill Clinton (nel 1992) a conquistare lo Stato; e la sua vittoria rivela il grande cambiamento demografico in corso e la rapida crescita delle periferie che, per la prima volta da generazioni, stanno aprendo nuove prospettive ai democratici proprio nel profondo sud. Del resto, gli elettori neri hanno contribuito in modo decisivo a far arrivare Biden alla Casa Bianca, e la loro disponibilità a votare in massa dopo Capodanno potrebbe essere, ancora una volta, decisiva.