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Europa: il veto è caduto, ma il re è nudo

Quasi mille giorni dopo la prima proposta della Commissione e circa trecento dopo lo scoppio della pandemia in Italia, sono stati raggiunti due accordi storici per l’Europa: il primo bilancio pluriennale dell’epoca post Brexit e Next Generation EU. Un cammino faticoso, ma senza dubbio con risultati inaspettati su cui pochi avrebbero scommesso.
 
Con Next Generation EU, Bruxelles ha finalmente varcato il Rubicone nel suo modo di affrontare le crisi. Con l’accordo sul nuovo budget, l’Unione ha compiuto un primo importante passo in avanti verso una maggiore tutela dello stato di diritto. Proprio su questo punto si erano arenati i negoziati, con il veto di Polonia e Ungheria.

Un veto che, bloccando l’intero pacchetto di rilancio, ha per la prima volta portato al centro del dibattito europeo una patologia irrisolta, fino ad ora rimasta ai margini: una divergenza sui valori fondamentali dell’UE e la mancanza di un quadro europeo per gestirla. 
 
Nonostante la soddisfazione per i risultati raggiunti, allora, sarebbe un errore considerare risolta la questione. Il veto è caduto, ma il re è nudo; e non si può più fingere il contrario. Non è possibile anche alla luce del grande sforzo dell’UE di raggiungere un’autonomia strategica, per tutelare i suoi interessi e i suoi valori. Come si può, infatti, pensare di essere efficaci nel proteggere i nostri principi fondamentali nella competizione globale, se non esistono nemmeno tutele appropriate all’interno dell’Unione? 
 
L’attenzione, forse, dovrebbe spostarsi su come creare tali tutele. Ciò può avvenire solo attraverso una riforma dei trattati, che crei un quadro normativo coerente con sanzioni effettivamente applicabili. In molti casi, questa consapevolezza è diventata una comoda scusa per tenere nel cassetto un argomento politicamente scomodo per gli stati membri.
 
Le ultime vicende hanno creato una finestra politica per agire, in attesa di una riforma più strutturale. Alcuni paesi, attraverso una cooperazione rafforzata, potrebbero dotarsi di un sistema provvisorio per tenere i valori al centro del dibattito. Questa coalizione di volenterosi – magari guidata dai nordici, molto attenti alla questione – potrebbe decidere di sottoporsi volontariamente ad un meccanismo europeo di monitoraggio riferito a tutti i valori fondamentali enunciati nell’art. 2 TUE. 
 
Accettare di rendere queste valutazioni pubbliche creerebbe un effetto reputazione, particolarmente efficace in questo caso. Infatti, compiendo un deciso passo in avanti, il gruppo di “virtuosi” – in questo caso una definizione appropriata, a differenza della retorica fuorviante che da anni caratterizza il dibattito tra debitori e creditori nell’Eurozona – metterebbe pressione non solo a quei paesi più palesemente in violazione, ma anche a quelli che predicano bene, ma, nella sostanza, conservano comportamenti ambigui. Non solo; un monitoraggio trasparente e istituzionalizzato consentirebbe anche un dialogo costante tra istituzioni e paesi membri. 
 
Realizzare una simile cooperazione non è scontato: i valori sono tra i temi più delicati, specialmente in una fase in cui la politica è dominata da questioni identitarie. Eppure, le ultime vicende hanno confermato l’inadeguatezza strutturale dell’Unione nel far rispettare i suoi principi fondanti non è più sostenibile. Bisogna agire. Anche perché, se la storia europea recente ha qualche lezione da offrire, guardare dall’altra parte non fa che peggiorare le cose.

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