È stata l’epidemia a inventare il lockdown? No. Di sicuro no.
Zia Léonie “…non aveva voluto più lasciare, dapprima Combray, poi la sua casa di Combray, poi la sua camera, infine il suo letto…”. E se invece, malauguratamente fosse stata amante di viaggi o crociere, di prime e seconde e magari terze case, di feste e di balli, difficilmente Marcel sarebbe potuto entrare nella sua camera per augurarle il buongiorno e inzuppare un pezzetto di madeleine nel tè. “…E quando ebbi riconosciuto il gusto del pezzetto di madeleine, la vecchia casa grigia, la città, la piazza, le vie e la campagna circostante, tutto questo è uscito dalla mia tazza di tè.”
Non voglio nemmeno immaginare per un istante quello che Proust, la letteratura, la storia, la bellezza, l’umanità tutta e ognuno di noi, singolo lettore, avrebbe perso se solo zia Léonie non avesse optato per un personalissimo quanto stravagante lockdown.
Mia Nonna, la sola che ho conosciuto e pertanto assurta al ruolo di unicità come lo sono la mamma o il papà, al ritorno da Roma dopo un intervento alla spina dorsale, salì le scale di casa, 53 gradini, soffermandosi in saluti e conversari nel primo pianerottolo dove era stata sistemata una poltrona per un eventuale riposino, raggiunse l’ultimo piano dove abitava e non ne uscì più. Salvo quando ridiscese i 53 gradini, quella volta senza necessità di poltrona al primo pianerottolo in quanto l’attendeva un lungo riposo.
Mia Nonna non si rinchiuse nella stanza da letto, anzi più volte attraversava tutto l’appartamento con passo spedito e cadenzato, sgranando il rosario. Io alzavo gli occhi dai miei giochi e mi chiedevo perché, visto che era così agile, non uscisse mai. Mi mettevo ai piedi della sua poltrona, accanto alla finestra, dove lei sedeva come una regina con il lungo strascico di una immancabile coperta bianca che fioriva magicamente di rose e foglie che il suo uncinetto inventava. Avrei voluto dirle Nonna perché non facciamo una passeggiata tu e io? L’aria è tiepida, il cielo è limpido, le strade portano in tanti bei posti. Nonna guardava il mare dalla finestra, poi spostava lo sguardo sulle colline, sospirava. Lasciava l’uncinetto e come se mi avesse ascoltato, Un giorno ti racconterò… I suoi occhi diventavano più blu.
Mia madre fece invece come la zia Lèony, dapprima non viaggiò più, poi non uscì più da casa, infine visse nella sua camera. Il suo fu però un lockdown affollato. Di fronte alla sua poltrona ce ne erano altre due, ma spesso si aggiungevano sedie e anche posti alternativi, sul letto, sul pavimento, in piedi. E sì perché i visitatori di mia madre erano tanti e di tutte le età, suoi coetanei, adulti, bambini e molti, molti giovani. Mamma a differenza di Nonna raccontava e soprattutto ascoltava. Era aggiornata su tutto, non viveva nei suoi “bei tempi” ma nei nostri ed era sempre un po’ più avanti di noi. Per questo i miei figli, e non solo, a lei davano ascolto.
Come Nonna anche lei faceva coperte, non bianche però. Sferruzzava rombi colorati e diceva: “questa la faccio tutta sui toni del blu dell’azzurro del celeste e poi ci aggiungo qualche sprazzo di giallo, come se ci fosse il sole”. Con le mani toccava i gomitoli e chiedeva: “E’ questo l’azzurro?”. Le porgevo la matassa. Lei vi passava sopra le dita e diceva: “Sì, sì è proprio una bella tonalità d’azzurro come il mare in certi giorni di primavera. Lo ricordo bene è come se ancora lo vedessi. Ora passami il blu”. Smetteva per un po’ di sferruzzare e i suoi occhi vuoti andavano dietro qualche lontano blu. Ma non sospirava.
Come posso io dire male del lockdown?
Patologia: personali e differentemente causate forme di agorafobia.
Terapia: naturalmente un buon tè, a patto e condizione che sia accompagnato almeno da una madeleinette, e poi: “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. Dite che 3724 pagine sono troppe anche per il più lungo e rigoroso lockdown? Allora limitatevi al primo volume, “Dalla parte di Swann” (406), potrebbe bastare, ma ricordate che “Chi si accontenta gode, così così”, cantava Ligabue.