Appena il presidente Draghi ha parlato di recupero di alcuni giorni di scuola – in pratica fino al 30 giugno -, dal mondo dell’istruzione sono giunti una gran quantità di messaggi.
A dirla franca, non che si volessero unanimi, ma assai strani e opposti fra loro come si dimostrano, più che garantire serenità, mettono un po’ di preoccupazione in chi ascolta. Noi tutti ricordiamo lo stracciarsi delle vesti quando la didattica dovette partire a distanza. La sentenza fu: ma questa non è scuola. E noi la prendemmo per giusta e vera. Oggi leggiamo, persino in una lettera idealmente indirizzata al Prof. Mario Draghi, che la Dad è stata un gran successo, che insegnanti e alunni hanno lavorato forse più di quanto si lavorava abitualmente in classe.
E noi? Dobbiamo crederci, ce lo date per veritiero questo bilancio? Possiamo stare tranquilli che i nostri ragazzi non hanno perduto proprio niente in questi mesi?
Noi sappiamo che la scuola è animata – ma anche condotta – da due orientamenti, per così dire, filosofici o pedagogici, che voler si dica.
Un primo orientamento guarda la scuola come un luogo dove al mattino arrivano insegnanti e alunni. L’insegnante si posiziona di qua dalla cattedra ed espone agli alunni la materia del suo insegnamento. Gli insegnanti aprono la bocca e gli alunni le orecchie. Una specie di travaso. Suona la campanella e arrivederci alla prossima, che andrà giusto all’incontrario: l’alunno apre la bocca e risponde a richiesta all’insegnante che apre le orecchie. Una specie di gioco al travaso. Tanto sarà più alto il voto quanto più capiente si è mostrato il cervello dell’alunno.
Il secondo modello è più ampio. C’è l’insegnante, c’è la classe, e ci sono gli alunni che l’insegnante impara presto a conoscere per nome e cognome, espressione del viso, storia di vita, sensibilità e tant’altro ancora. Nel mezzo ci sta la materia di insegnamento che l’insegnante espone, che la classe ascolta, che il singolo alunno si vede arrivare dinanzi a sé. Quella lezione e quelle altre che seguiranno costituiscono un tracciato sul quale si confronta la classe nella sua interezza e il singolo nella sua singolarità. Alla fine si hanno diversi percorsi e una probabile sinfonia.
Ora, che la Dad abbia potuto rispondere al primo modello è difficile metterlo in dubbio, fermo restando che tutte le accortezze del caso siano state tenute in gran conto e, sia pure in maniera non rigida e poliziesca, a guisa di garanzia almeno sì, per non infondere illusioni per il prosieguo dello studio che verrà.
Ma, detto con estrema franchezza, la scuola è solo didattica? Tutti, nessuno escluso, sappiamo che non lo è. Allora, forse sarà il caso di fare un passo indietro, e cioè andare a ponderare meglio la questione del “recupero”.
Qualcosa si è perso, a scuola, in questa pandemia. Se non si è perso nulla, vorrebbe dire che la scuola che abbiamo conosciuto e frequentato ante-pandemia non era quella giusta e lo sarebbe addirittura questa del “durante” pandemia. Pari e patta con la didattica? Ebbene, diciamo sì e apriamoci al sorriso.
E il resto? Ovvero tutto quello che la scuola è per insegnanti e alunni, cioè teatro dove si fa vita, si cresce, ci si forma, incontra, confronta, agisce e interagisce, tutto quel mondo che a noi adulti sta dentro segnato (perché insegnato), come e dove finiremo per pescarlo?