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Epistolari

Non so voi, ma io, se piove, fa freddo e non c’è alcun motivo per uscire, mi preparo un tè e riordino cassetti. Vera delizia è riordinare cassetti che non si aprono da anni. Come questo. La prima cosa che affiora è una lettera, di Valeria che allora di anni ne aveva 8. 

Valeria, me lo avevi chiesto tu di iniziare una corrispondenza. Tu che avevi solo una manciata di anni. Come ti fosse venuto in mente proprio non lo so. Ma tu mi sorprendi sempre. Hai cominciato a farlo quel 28 aprile in cui sei nata, proprio dopo tre giorni dalla morte della tua bisnonna e mi hai condotto per mano, con la tua fragilità, con i tuoi occhi che si spalancavano all’improvviso e le piccole dita che stringevano il mio pollice, a ritrovare la strada della vita tra il buio e i rimpianti e i rimorsi e il non detto e quello che troppo si è detto e la paura che si accompagnano alla perdita annunciata e attesa, ma sempre sconvolgente, della madre. 

Una corrispondenza. Non messaggini o faccine su WhatsApp, non telefonate o video-telefonate, non cartoline-ricordo di  viaggi, non letterine sotto il piatto il giorno di Natale. No, tu volevi una vera corrispondenza, con la sua bella carta da lettera, il come stai e tanti baci, i tempi di partenza e di arrivo, le attese del postino, i francobolli da collezionare. Come sapessi tu allora quelle cose, io non so. Come non so ora che sei cresciuta tante altre cose di te, dei tuoi pensieri, della tua vita che pure tu mi sveli nei discorsi che facciamo quando stenti ad addormentarti o quando ti osservo con il telefonino in mano, o fai i compiti, o quando ti diverti o ti ribelli, o hai gli occhi rossi.

Allora l’iniziammo quel carteggio. A me sudavano le mani, mi si bloccava la mente e la penna. Che carta ci vorrà? Colorata o bianca? Che penna usare? Che carattere usare, stampatello per essere letta facilmente o un elementare corsivo? Come iniziare, come concludere? Come intestare? Che tono scegliere: scherzoso o serio? scrivere per il presente o per il futuro? 

E mentre io mi lambiccavo, arrivò  la tua prima lettera, questa che ora ho tra le mani, su un foglio di quaderno con in alto un appiccichino, una palla gialla con scarpe e fiocchetto rosso che dice “Ricordati di me” e poi soprattutto cuori, dappertutto cuori e Cara Nonna, sei una superNonna. Oggi ho saltato la scuola perché ho fatto la visita oculistica. Sai che il mese prossimo Mamma e Papà partono ed io non andrò la scuola per sette giorni e me ne vengo da te? Sei contenta? Io tanto. Vincenzo mi fa sempre i dispetti. Ti mando un disegno, con il tè che ti piace tanto. Bacini, bacini, bacini e segue una sfilza di bocche e cuori e stelline di una appiccicosa polverina dorata. E per completare anche un post scriptum Mi avevi promesso che avremmo fatto qualcosa insieme anche quando non possiamo stare insieme. Ci hai pensato? 

Ecco come si scrive una lettera. Sì, Valeria ci ho pensato. Ho pensato che ho appena fatto in tempo a rispondere a quella bambina tutta baci e cuoricini che qualcosa me l’ero inventata da fare insieme anche se da lontano: una storia tutta nostra da  scrivere e illustrare,  che il tempo si è messo a correre e ci ha colto di sorpresa. 

Non l’abbiamo finito allora il racconto, riprendiamolo ora. Io cercherò di aiutarti a scrivere l’incipit della tua nuova storia fatta di cambiamento, di sfide, dubbi, paure e spavalderie, certezze e perdite, amori e tradimenti. E tu aiutami a imparare a percorrere con fiducioso coraggio il tempo che resta della mia storia. Rispolvera i tuoi colori, le tazze fumanti, i cuori, le stelline, le dediche. Ricominciamo, Valeria?  

Patologia: leggera propensione a cedere al bisogno di mettere ordine in cassetti reali e metaforici.
Terapia: Tè deteinato, leggero, senza sostanze eccitanti. Libro: qui la proposta potrebbe diventare ampia, tra epistolari, romanzi di formazione o generazionali, ma stiamo veleggiando su un’onda gozzaniana, leggera quanto insidiosa, e pertanto propongo un bestseller degli anni 90, “Va dove ti porta il cuore” di Susanna Tamaro. Una lunga lettera di Olga alla nipote Marta. E’ concesso ogni tanto lasciarsi andare a un po’ di sentimentalismo, a rispolverare “buone cose di pessimo gusto” con le attenuanti del freddo e della pioggia. Di cassetti abbandonati.

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