Durante questo anno di più o meno rigoroso lockdown, nelle casalinghe serate di coprifuoco, ho instaurato nuovi rituali, impensabili in tempi normali. Prima, in insperata e imprevedibile classifica, è assurta la TV con i suoi triti e ritriti programmi da criticare nelle telefonate del giorno dopo, ma soprattutto come comodo schermo per serie compulsive (un episodio dopo l’altro, una stagione dopo l’altra). Durante gli stacchi pubblicitari, nelle pause dovute a sfinimento, nella necessità di fare comunque due passi, mi sono dedicata alle luci degli altri. Dapprima distrattamente e poi sempre più consapevolmente ho perfezionato un itinerario dalla finestra al balcone.
Finestra. Profilo ombrato delle colline attraversate da un tratto della vecchia statale illuminata da sporadici fanali. Deserta, ma se si ha la pazienza di soffermarsi qualche minuto dietro i vetri, si potranno vedere comparire i fari di una solitaria auto. Chi sfida il coprifuoco? Quale necessità o temerarietà è alla guida? Un’urgenza dolorosa, il coraggio cieco dell’amore, una bravata di incosciente età? O più semplicemente e meno romanticamente un rientro dal lavoro?
Intanto i fari si sono spenti dietro la curva. Abbassando lo sguardo non si può, anche se si volesse, non scontrarsi con un grosso cubo di cemento messo lì a deturpare il paesaggio. Tre piani di degrado urbanistico che non rispondono nemmeno al fabbisogno abitativo essendo quasi del tutto disabitati.
Un balcone illuminato al piano di mezzo, fino a notte fonda. Forse il geometra che ha progettato la casa espia tra insonnie e incubi il suo crimine. Poi proprio di fronte alla mia finestra quella di Giulia che combatte gli anni, la solitudine, la paura della notte che assale in eguale misura bimbi e vecchi, lasciando gli scurini aperti e la luce accesa finché quella del giorno non la sostituirà.
Un po’ più in là la terrazza con vista sul mare che resta illuminata fino a tardi. L’epidemia ha reso abituale una presenza in altri tempi sporadica. Complici il pensionamento, i figli autonomi, la coppia ha abbandonato i ritmi, l’isolamento, le difficoltà, i contagi della città per reinventarsi una paesana vita rallentata. Bella o brutta, fredda o tiepida che sia la serata, loro non rinunciano alla vista a mare. Stanno uno accanto all’altro affacciati dalla ringhiera e guardano. Avanti o indietro, non so.
Faccio una deviazione verso la cucina e mi preparo una tisana “La giusta occasione per concedersi un momento di intimità e riflessione. Ottima contro l’ansia, concilia il sonno, aiuta a superare lo stress con un’ attitudine più distesa e rilassata”. Perfetta, con quel tanto di ingannevole che la rende accettabile. È comunque proprio buona e con una tazza calda tra le mani posso affrontare luci che appaiono e scompaiono a ritmo del venticello che scuote i cipressi lì in fondo.
Ci siamo e non ci siamo, sembrano dire nel loro apparire e scomparire. Siamo presenti assenze. Siamo il passato che continuamente è oggi nei ricordi. Siamo i rimpianti, il perduto, i rimorsi. Siamo il bene che niente, nemmeno il tempo, può cancellare. Siamo domande senza o con troppe risposte. Siamo, come dice il Cantico, forti come la morte perché siamo amore.
E ora passiamo al balcone. Dai vetri del balcone lo sguardo si allarga su buona parte del paese. Qui le luci sono tante e perlopiù anonime. Bisogna esercitare la virtù del discernimento e inventarsi una nuova vista che non veda quel che è visibile e distingua invece l’invisibile. Un po’ come la volpe del Piccolo Principe “non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Allora chiudo gli occhi per vedere la luce che non c’è al terzo piano di Viale Mannarino, n. 4.
La luce non c’è perché l’appartamento da quando lo abbiamo lasciato noi non è stato più abitato. È quindi ancora ricolmo dal chiasso di sei figli piccoli in scaletta di 10 anni, di Enzo e me che combattevamo la faticosa, ma allegra, ma spensierata, ma appagante, ma condivisa, ma esaltante, ma amorevole sfida di fare della nostra la più bella famiglia del mondo. Del nostro personale mondo s’intende. E gli anni di viale Mannarino hanno risposto: Sì, lo voglio facendo eco a quel primo Sì lo voglio da cui tutto è partito. Sì, ti accolgo nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nell’accordo e nel disaccordo, nella fatica e nel riposo. Per sempre nella mia vita e oltre la mia vita. Come sigillo nel mio cuore.
Alcune luci si accendono altre si spengono. Accosto gli scurini e vado a letto.
Patologia: leggere forme di stress
Terapia: della tisana si è già ampiamente detto. Per quanto riguarda il libro non vi aspettate “Le luci nelle case degli altri”, che pure ci starebbe, né “Doppio vetro ” che ci starebbe ancora meglio per analogia di tema, in quanto, (i più attenti lo sanno ) ve l’ho già consigliato. Scegliete voi. Per questa sera chiudete la Tv, aprite un bel libro, ma non chiudete gli scurini. Le luci degli altri illumineranno pagine e pensieri.