Press "Enter" to skip to content

Carta d’identità elettronica

Il burocrate è cattivo.
Il burocrate è come il lupo delle favole, vuole divorarti. Il burocrate è falso, ti blandisce per assaporarti con più gusto. Il burocrate ti tende trappole e tranelli. E quando credi di avercela comunque fatta sappi che ti sbagli.

Il burocrate ha sempre e comunque un asso nella manica. La partita, la tua partita, è persa. E stai pur certo che non ci sarà una rivincita.
Me ne sono uscita con in mano NON una nuova, fiammante, moderna carta d’identità elettronica, ma con un foglio dattiloscritto. In alto cerchiato un codice.

“Le basterà fintanto che avrà la carta vera e propria”.
“Arriverà dove, quando?” chiedo al limite delle attese, dei sorrisi, della lucidità mentale. “All’indirizzo che ha dichiarato (e mi guarda dritto negli occhi, fatti miei se ho dichiarato il falso), tra alcuni giorni ( gesto con la mano troppo ampio per mettermi tranquilla). A meno che… “A meno che…”, ripeto speranzosa, “A meno che non voglia tornare personalmente a ritirarla presso questo ufficio”.

Il burocrate parla come un burocrate. Rabbrividisco.
“No, no, per raccomandata”. Stringo il foglietto in mano e riprendo, questa volta in discesa, la strada che ho percorso in salita per arrivare al Municipio. Camminare fa bene, ma dopo una prova come questa è addirittura rigenerante e peraltro lascia il tempo di ripercorre tutto l’arduo calvario che si è concluso con il codice Ca87…

La mia vecchia carta d’identità è scaduta durante il lockdown e pertanto è stato possibile rimandare il rinnovo. Era bella la mia carta, fatta tutta di carta con la firma a penna nera, il bel timbro dell’Italia, la foto di 10 anni fa, bella no (avete mai visto una foto formato tessera bella?), ma con i capelli ancora scuri (d’accordo solo in virtù della tinta, ma con evidente velleità di giovinezza) e quel vestitino che mi stava tanto bene.

Ne abbiamo fatto viaggi e certificazioni e identificazioni insieme in questi 10 anni. Sempre fedele nel suo scomparto del portafogli, sempre disponibile e affidabile. Chi più di lei conosceva con esattezza quello che mi rende persona e cittadina? Nascita, altezza, occhi, stato civile, professione e sapeva anche tacere sui “segni particolari”: Nessuno”.

E non diciamolo a nessuno che il profilo destro è meglio del sinistro e che il terzo dito del piede… una vera amica. Mi commuove il pensiero di averla abbandonata tra le mani dell’orco. “Potrei riaverla?” ho chiesto tanto speranzosa quanto ingenua. “No” e non c’è stata possibilità di ulteriore dibattito.

La preparazione alla richiesta della nuova carta è stata per me faticosa e lunga.
I) Informarsi della procedura (non per telefono, sì in presenza o online)
II) Versamento su bollettino bianco che la mia banca non prevede online, Posta no, file interminabili, tabacchino sì, ma non quello sotto casa, quello più lontano
III) Foto, previa visita al parrucchiere, a sapere che sarebbe stata visibile poi solo con una lente da ingrandimento avrei fatto uno sciampo in casa
IV) Municipio.

“Dovrei rinnovare la carta d’identità”.
“Ma deve fare un versamento, una foto”, dice con occhietti e sorrisetto maligni. “Fatto”. Uno a zero, e sono capace anch’io di sorrisetti maligni. “Questo bollettino non vale, ci vuole la ricevuta del tabacchino”. Doppio sorrisetto maligno. Ma io mi sono preparata ed ho in borsa una cartellina con tutte le ricevute e le carte fatte durante questi ultimi mesi, compresa la carta “Amici dei koala”, non si sa mai.

Tiro poi fuori prodigiosamente, come dalla borsa di Mary Poppins, tessera sanitaria, vecchia carta, codice fiscale e…
“Basta così”, mi dice restituendomi la foto dei nipotini a mare, la tessera Conad e la lista della spesa. Due a zero. Ma la partita non è finita.

“Ora le impronte digitali”. Faccio un veloce riepilogo delle ultime malefatte, ma a parte avere dichiarato a Silvia che il telefonino si era rotto e pertanto non avevo visto le sue 32 chiamate nelle ultime 8 ore, non mi pare di aver trasgredito a nulla: mascherina, distanziamento, vaccino, 30 secondi di insaponata, ecc. ecc. ecc.

“Il pollice destro”. E va beh, ma segue il secondo dito destro e poi quello sinistro. “E quello dopo, e quello dopo e quello dopo” ( ma non si studiano in prima elementare indice, medio anulare?).
Provo un leggero disagio ad essere trattata con più rigore di un killer professionista. Sono certa, forte delle serie criminali che mi hanno fatto compagnia in questo tempo di chiusura, che venga presa l’impronta di un solo dito, sia pur un non ben identificato primo o secondo o terzo.

Sono comunque riuscita ad evadere seppure pallida e sfinita dall’Ufficio Anagrafe e Stato Civile Aperto al pubblico nei giorni… E a questo punto LUI mi fa un cenno di richiamo. Mi si gela il sangue.
“Gradisce un caffè? Ne hanno portato uno in più.”
Non sarà il massimo del bon ton, ma chi l’avrebbe detto? Io no di sicuro. Il caffè è cattivo, tiepidino, dolce, lungo, ma lui, il burocrate, quanto è carino.

  • Patologia: stati di stress acuto.
  • Terapia: lasciate stare il tè e la sua teina, qui ci vuole un caffè, possibilmente, ma non ve lo assicuro, forte, caldo, ristretto. Tornati a casa buttatevi sul divano e leggete qualsiasi cosa avete a portata di mano, è consentita anche la lista della spesa. Come già vi ho raccomandato un’altra volta, NON leggete Bartleby lo scrivano di Melville.
Share via
Copy link
Powered by Social Snap