È stato innescato l’ennesimo incendio nelle terre del sud Italia; gli anonimi criminali si sono lasciati dietro uno scenario devastante per persone e cose, con l’aggravante della prossimità ai centri abitati.
Non ci illudiamo, al momento non c’è una cura; si tratta della nostra personale pandemia e tutti sappiamo che nessun vaccino ci verrà in soccorso. Se un paragone è possibile fare, immaginiamo che l’azione popolare contro la piromania estiva abbia la stessa portata mediatica di un movimento no vax.
Pensa quante poltrone scricchiolerebbero, come subito ribollirebbe l’attività legislativa e investigativa e, chissà, come più facilmente verrebbe sgominato il “sistema” incendiario che porta ogni estate al desolante stato di fatto delle nostre terre!
Già, le nostre terre! Ovviamente quello che formulo è un teorema indimostrabile, almeno quanto quello formulato da Pasolini in un famoso articolo dato alle stampe sul Corriere della sera tanti, troppi anni fa. Imparagonabilmente minore, beninteso, ma pur sempre un teorema.
Da siciliano mi sono sempre chiesto cosa sia davvero la mafia, giungendo alla tua stessa conclusione, lettore: che quella verticistica ed eversiva lo sia solo in senso stretto. Ma la mafia non è certamente un fenomeno delinquenziale circoscritto, al contrario è diffusissima, ora più che ai tempi dei corleonesi, purché si sia disposti a guardare nelle piccole cose.
Oggi mafia è soprattutto l’insieme di comportamenti asociali e anti repubblicani (della res pubblica) che ognuno di noi compie volontariamente o meno giornalmente, per un proprio interesse manifesto o latente.
Nello specifico che qui trattiamo – non apro parentesi sulla specializzazione di molti padri di famiglia nel buttare i sacchi di spazzatura ai cigli delle strade, altro e non meno devastante fenomeno paesaggistico del sud Italia -, l’arco diffusamente egoistico o più specificamente criminale cui essa tende, va dall’automobilista che ancora oggi getta con disgustosa noncuranza la cicca di sigaretta fuori dal finestrino e arriva all’anonimo esecutore della più parte dei roghi che incendiano le regioni meridionali.
Perché tutto questo accade? Nel primo caso per ignoranza; non quella bonaria che porta all’autoassoluzione il medesimo buon padre di famiglia, il quale ancora fuma nell’abitacolo e che mai si pone il problema delle conseguenze del gesto. Non quell’ignoranza, sempre e comunque esecrabile, no. Parlo dell’ignoranza che si forma sui banchi di scuola e nelle famiglie, in totale dispregio di un’educazione civica la quale latita, come ha sempre latitato, nei programmi scolastici ministeriali.
Il secondo caso è più complesso e altrettanto irrisolvibile, perché richiederebbe una volontà di governo del paesaggio fatta di febbrili attività legislative, investigative e giudiziarie a tutti i livelli di reato: dall’allevatore che brucia i campi per costringere i proprietari a vendere le terre o affittare i pascoli solo a lui e a prezzi ribassati; passando per l’operaio forestale stagionale che brucia i boschi al fine di assicurarsi la prossima chiamata alla salvaguardia (Sic) o alla riforestazione dei boschi stessi; alle più complesse politiche di gestione dei sistemi di tutela e salvaguardia del patrimonio (vedi la ricorrente polemica sulla gestione dei Canadair); su su a salire fino a chissà dove.
Voci che sono sempre circolate, a ogni estate, tra i cittadini indignati, ma che restano e resteranno tali fino alla validazione o smentita da parte dei settori investigativi e giudiziari. Il teorema non esclude la piromania quale patologia psichiatrica del singolo, intendiamoci; solo esso la rende residuale, puntando il dito sui comportamenti criminosi o collettivi che sono invece la stragrande maggioranza.
Ovviamente, come Pasolini, noi tutti sappiamo ma non abbiamo le prove. Come potrebbe essere diversamente? Né io né tu, caro lettore, siamo deputati a indagare. Nel teorema sarà possibile inserire, infine, una chiosa a mo’ di speranza. Esso implica infatti la gratitudine per quell’amministrazione dichiaratamente, inequivocabilmente antimafia, sul cui territorio i piromani vengono subito individuati e arrestati; purtroppo, tocca dirlo, solo dopo che l’incendio ha fatto il danno che doveva fare. Con essa il sospetto che l’efficacia della cura sia legata a doppio filo coi vertici delle politiche amministrative locali.
Nel narrare agli allievi il paesaggio, la capacità che l’uomo ha di renderlo un luogo numinoso, dalla preistoria alla Land Art, non avevo riflettuto abbastanza sulla fase destruente di quest’avventura. Contemplavo le guerre, i cataclismi, le epidemie e i conseguenti abbandoni, ma mi sfuggiva un fatto cogente e attualissimo che però non ha niente di nuovo: nel meridione d’Italia molti uomini e donne non amano, se non a parole, la terra e il paesaggio in cui vivono.
Dirò di più, credo che essi considerino la desolazione che fa seguito a un vasto incendio, la scia maleodorante di rifiuti che imbratta i cigli delle strade, l’abusivismo edilizio, l’inquinamento marino e tanto altro ancora, un fattore endemico al pari delle belle pandemie di una volta, non come ora che ci sono gli esecrati vaccini; come allora, quando si moriva a decine di milioni in pochi anni e si potevano levare al cielo solo le preghiere, invocando gli dei.
Qualcosa con cui convivere come un male necessario, una sorta di estetica immunità di gregge, fatta di “badde” e “culonne d’aria” (Martoglio docet) ormai da tempo assimilata e irrisolvibile nel meridione d’Italia. Non importa quanta desolazione essa lasci dietro di sé. Si fa sempre in tempo a sostenere l’amenità dei luoghi e la bellezza del mare dalle pagine patinate degli spot pubblicitari promossi dalle regioni. Come la mafia, appunto.
Ne consegue uno sdegno temporaneo, di facciata e salottiero, anticamente discusso al circolo di conversione o al bar con gli amici e oggi traslato nelle stanze anestetizzanti dei social. Se almeno ne derivasse un vasto movimento che solo per analogia assomigli al no vax ma meno millenarista, un moto di sdegno umanistico e razionale in difesa dei campi e dei boschi, chissà, forse un domani …!