Le prime cose che ho imparato a cucinare, penso mentre sorseggio un ottimo tè, sono state la crema, il brodo e il tè. Non che poi sia andata troppo avanti anche se, per necessità, ho avuto (ho ancora?) un rapporto stretto, intenso, prolungato con la cucina. Non è stato però – tranne che per i capolista – un rapporto d’amore, anche se l’ho fatto per amore.
Sorseggio e medito che tra poco dovrò andare in cucina, abbandonare la solitaria perfezione di questo crepuscolo che si offre nella quiete del mio balcone, per preparare una qualsivoglia cena che ogni volta assume l’aspetto di una sfida: tempo minimo, ingredienti semplici, aspetto e, non guasterebbe, sapore accattivante.
Mi convinco, a questo punto e a questo stadio di insofferenza, che bisognerebbe creare un movimento a sostegno di quelli come me, che non amano cucinare ma sono costretti a fare da mangiare, per altri soprattutto, ma anche per sé, ogni giorno, ogni tanto, sporadicamente.
Un movimento che ci disponga a fare lega. Parlare tra noi, certi di essere giustificati promossi valorizzati. Compresi. Chiarirci le idee non potendo chiarificare né il brodo, né il burro.
Partiamo, per essere pignoli, da una considerazione linguistica. Grande è la differenza tra cuoco/a e cuciniere/a. Cuoco, esperto nell’arte culinaria. Cuciniere, addetto alla preparazione dei cibi.
La prima categoria si dedica alla cucina con entusiasmo, ha delle specialità che la contraddistinguono, sperimenta ricette continuamente, trascorre molto del suo tempo davanti ai fornelli, possiede ricettari enciclopedie siti programmi e video da consultare, chiama per nome i migliori chef e i ristoranti Michelin, ha segreti culinari inviolabili, dispensa consigli e ricette (ma come li fa lei, nessuno), disprezza o invidia i menù degli altri, trionfa nelle sagre, nelle feste di beneficenza e soprattutto nelle feste comandate. È regina dei fornelli.
La seconda categoria rimanda al limite l’ingresso in cucina, non sa mai cosa preparare, e se lo sa non sa come si fa, possiede anche lei ricettari enciclopedie siti, ma purtroppo sono scritti in ostrogoto, è trasparente come il cristallo non nascondendo segreti, apprezza non solo i buoni piatti degli altri ma qualsiasi cosa commestibile purché l’abbia preparata qualcun altro, confonde i nomi degli chef e non disdegna tavole calde o fredde che siano e fast food, si abbuffa nelle feste comandate quando di regola è esclusa dalla cucina, ha delle ricette personali e… non aggiungo altro. Anche lei non si esime tuttavia dal dispensare consigli e ricette che naturalmente nessuno eseguirà mai. È la schiava dei fornelli.
E fermiamoci, noi cucinieri, per ora alla precisazione linguistica, non addentriamoci in storie, lamentele, recriminazioni o suggerimenti, scappatoie, defezioni. Che a questo punto non ci venga in mente di sfoggiare l’orgoglio di classe scrivendo una nostra personale storia della cucina.
Patologia: fobia acuta nei confronti dei fornelli
Terapia: preparatevi un tè anche se non è capolista delle vostre competenze e poi vi consiglio un libro che conforterà, infonderà coraggio, darà dignità alla vostra incompetenza: “Personalissime ricette” di Nada Roberti. Dite che non vale perché l’ho scritto io? Dite che non c’è peggior peccato che citare se stessi anche se è così gratificante? Ma in queste pagine non ci siamo già trovati d’accordo con George Bernard Shaw che “Tutto ciò che ci piace o è immorale o illegale o fa ingrassare”? Io vi assicuro che le mie ricette non vi faranno ingrassare.