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La malattia del dibattito sulla giustizia in Italia

Il dibattito politico sulla giustizia penale è malato. Curve di tifoserie contrapposte si aggrediscono con ferocia, riluttanti a qualsivoglia forma di dialogo. Da un lato, i difensori delle garanzie processuali accusano i giustizialisti di violare la presunzione di innocenza. Dall’altro, Pubblici Ministeri e parte della realtà politica parlano di impunitisti (espressione adottata dal segretario del Pd Enrico Letta). Per uscire da questa selva selvaggia è necessario ripristinare due principi fondamentali, propri di ogni democrazia liberale.

Primo, le garanzie processuali non sono meri impedimenti all’accertamento della responsabilità penale, bensì baluardi a tutela dell’individuo dal potere pubblico. Nello Stato autoritario si ricorre alla tortura e l’imputato non è al corrente dei capi di imputazione. Nessuno più efficacemente di Franz Kafka in “Il processo” descrive l’asfissia di non conoscere il reato di cui si è accusati.

Al contrario, l’ordinamento liberale riconosce il diritto al contraddittorio, la parità delle armi e la facoltà di produrre prove a discarico. Il primo modello poggia su una prospettiva stato-centrica in cui il cittadino è servitore. Il secondo antepone le libertà individuali agli interessi del potere centrale. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…” sancisce l’articolo 2 della Costituzione. È manifesta quale sia stata la scelta dei Costituenti.

Secondo, è interesse generale di ciascuno Stato la repressione dell’illegalità. Il reato è una condotta che i cittadini ritengono intollerabile perché lesiva di valori assoluti. L’omicidio offende la vita, la truffa aggredisce il patrimonio, la corruzione incide sulla corretta amministrazione della cosa pubblica. L’ordinamento liberale ha il dovere di prevenire e sanzionare simili fenomeni, perché come insegna Kant: la mia libertà esiste a condizione che esista la tua non libertà; la tua libertà esiste a condizione che esista la mia non libertà. Un mondo privo di regole è anarchico, non libero.

Queste due colonne portanti dello stato di diritto, accolte pacificamente nel mondo occidentale, in Italia divengono oggetto di scontro tra politica e magistratura. I vent’anni di conflitto tra Silvio Berlusconi e ordine giudiziario, con reciproche invasioni di campo, impediscono un sano dibattito. Nel resto del mondo si confrontano politiche di law and order, sostenute da Stati Uniti e Inghilterra, e approcci welfarist, quali la giustizia riparativa, tipici dei Paesi scandinavi. In Italia assistiamo invece a chi definisce gli assolti come furfanti che l’hanno fatta franca e condannati in via definitiva acclamati in Parlamento. La malagiustizia italiana è figlia dell’incomprensione sui principi fondanti della giustizia stessa.

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