Press "Enter" to skip to content

Da via Fani a Kiev, l’esigenza di una ribellione morale e politica nei confronti di tutto ciò che giustifica la violenza contro la libertà

44 anni. Son passati 44 anni da quando fummo tutti raggiunti dalla tragica notizia del rapimento di Aldo Moro e dall’uccisione della sua scorta.

Nella Torino i quegli anni vivevamo in un clima grigio, soffocante. Era difficile studiare e vivere con serenità. Nelle nostre Città del nord industriale, a Torino soprattutto, si percepiva più che altrove che il terrorismo aveva contatti sociali significativi, ramificazione nelle fabbriche, nel disagio sociale, tra i giovani che coltivavano i sogni rivoluzionari predicati dai “cattivi maestri”.

Un clima di guerra, molto diverso da quello che emanava dalle lotte sociali che avevano attraversato la storia repubblicana nell’aspro confronto, a volte scontro, tra le forze democratiche di governo, da sempre guidato dalla Democrazia Cristiana, e il più grande Partito Comunista dell’Occidente libero.

Da un lato di percepiva la consapevolezza crescente che il movimento operaio e il vertice del PCI vedevano nello Stato anche il “loro” Stato, dall’altro molti (troppi!) continuavano a ritenere che verso questo Stato si dovessero ancora applicare le categorie del secondo ‘800 e del primo ‘900 sul violento abbattimento dello “Stato borghese”. 

Ricordo quando, come segretario regionale dei giovani DC, il giorno dopo il rapimento di Moro entrai, accompagnato da due amici, da una porta secondaria nell’aula magna di Palazzo Nuovo, sede dell’Università, e presi la parola in un’Aula brulicante di giustificazionisti, di giovani ed anche professori (uno, poi, lo ritrovai in Parlamento dalla stessa mia parte politica 25 anni dopo) che spiegavano come Moro fosse stato colpito perché simbolo della conservazione, del potere “borghese”, dello Stato oppressore sulle masse.

Mi sono ritornate in mente in questi giorni quelle discussioni infinite, che accompagnarono, con la costante paura di poter essere nel “mirino” del terrorismo, gli anni più belli della nostra vita. Si viveva la tragedia del tempo e la spensieratezza della giovinezza, in quei giorni tragici, in cui, ieri come oggi, in troppi, confondevano vittima e carnefice, aggredito ed aggressore, fondando il giustificazionismo dell’aggressione con motivazioni analoghe a quelle che oggi portano molti a giustificare l’aggressione verso una Nazione libera e indipendente e che consistevano (e consistono) nell’odio, incomprensibile, verso quello che, con tutti i suoi difetti, resta, mi riferisco all’Occidente democratico e all’Unione Europea, il più grande spazio di libertà, benessere e giustizia sociale che l’uomo sia riuscito a creare nella sua storia, con metodi democratici.

L’uccisione di Moro, al di là delle verità processuali, mai emerse del tutto, oggettivamente era funzionale a chi non voleva il superamento della guerra fredda e la divisione del mondo sulla base degli accordi pattuiti a Yalta per sconfiggere il nazismo, come se la storia debba essere qualcosa di immutabile in cui il crescere di vocazioni diverse, illuminate dal progresso scientifico, culturale, sociale e politico sia un qualcosa di casuale rispetto al determinismo immutabile dettato dalla “Storia”.

Quando sento persone come Tremonti che dicono che, in fondo, ciò che sta avvenendo in Ucraina  altro non è che la “Storia” che si impone sulla politica, mi si accappona la pelle perché è come dire che esiste un disegno imperituro in forza del quale chi guida una Nazione è legittimato, in nome della Storia, ad agire per ripristinare ciò che la casualità del tempo ha modificato.

In quegli anni la destra più radicale internazionale, con i suoi tentacoli nei servizi segreti delle Nazioni democratiche e in apparati deviati degli Stati (non solo dell’Italia) aveva lo stesso obiettivo delle frange più estreme del comunismo al potere nei Paesi dell’est: impedire il superamento della guerra fredda, soprattutto là, in Italia, dove il più grande partito comunista dell’Occidente libero raggiungeva il 30% dei consensi e guidava importanti Città, Province, Regioni, in una fase di logoramento dei rapporti tra le forze democratiche e di appannamento del loro appeal elettorale.

Il Presidente della DC convinse il partito che era stato l’argine dell’avanzata comunista in Italia ad aprire il confronto con quel PCI, confronto il cui scopo finale doveva essere l’alternanza al potere tra un grande partito di sinistra “socialdemocratizzato” e un grande partito popolare come la DC.

Da giovane DC, al tempo nel gruppo “moroteo”, mi permetto di  dire che Moro non aveva in testa una permanente “alleanza” di governo col PCI, ma il suo disegno era quello di liberare l’Italia dal fattore “K” e di gettare le basi per un’alternanza al potere tra forze democratiche diverse, ma entrambe legittimate dal consenso popolare e dalla fedeltà alla Costituzione.

Il combinato disposto di chi scelse il terrorismo per costringere le Istituzioni a ripiegare sulla repressione e, quindi, a creare le condizioni per l’insurrezione rivoluzionaria, e di chi voleva fermare un processo di allargamento dell’area democratica e di Governo in un Paese strategico per il superamento della “guerra fredda”, portò all’attacco al “cuore” del processo politico in atto che si concretizzò nel rapimento e nell’uccisione di Moro. Sappiamo cosa è successo dopo. L’impero sovietico si è disgregato e decine di milioni di persone sono diventati padroni del proprio destino.

Nel nostro Paese, nonostante contraddizioni, difetti, a volte drammi, è stato costruito un sistema di alternanza di cui persino forze populiste e neo sovraniste hanno potuto avvalersi. Ma nessun fattore “K” ha potuto più bloccare una fisiologica alternanza e/o dialettica politica.

Assistiamo, però a un tentativo concentrico di forze apparentemente opposte che spingono, anche in Occidente e nell’Unione Europea (che ha fatto passi da gigante nel suo processo di integrazione rispetto ai tempi di Moro, quando Kissinger sarcasticamente si chiedeva “quale fosse il numero di telefono dell’UE”…), a ricreare muri e confini che sanciscono quanto meno lo “status quo” che – e qui sta il problema – per qualcuno coincide non con la realtà venutasi a creare in questi quasi 40 anni, ma con lo “status quo ante”, cioè con “la Storia”.

Putin vuole questo. Lo “status quo ante”. La “Storia” che si impone sulla politica! A qualsiasi costo! Esattamente come avveniva nei secoli passati e come il nazismo e il comunismo sovietico hanno cercato di imporre nel ‘900. Non c’è spazio, in Putin, per l’autodeterminazione dei popoli dei Paesi che appartenevano all’Impero sovietico e, prima, russo.

Ieri come oggi quei movimenti che hanno dissolto l’URSS e generato dei paesi liberi e indipendenti, anche di scegliere la loro collocazione internazionale, sono, per l’autocrate che siede oggi al Cremlino, solo il prodotto dell’Imperialismo dell’Occidente, degli USA, della Gran Bretagna e dell’UE e, quindi, vanno ricondotti alla loro “Storia”. Che Lui interpreta.

E su questa strada incontra coloro che sostengono “prima l’America”o “prima gli Italiani”, che non accettano l’esito di libere elezioni o assaltano il Parlamento o spargono il terrore contro gli Ebrei e le minoranze in genere o vogliono rialzare muri contro l’invasione straniera.

Come nel 1978 chi vuole costruire processi fondati su principi di libertà, democrazia, autodeterminazione, trova sulla sua strada resistenze anche armate di chi  vuole imporre la propria interpretazione della storia e delle relazioni politiche.

Da qui l’esigenza di una ribellione morale, prima ancora che politica, nei confronti di tutto ciò che giustifica, ieri come oggi, la violenza e l’aggressione contro la libertà di cercare strade nuove di convivenza e di vera pace, che non può mai essere confusa, con il generico pacifismo. A 44 anni di distanza è anche questo un modo per onorare la memoria di un martire: Aldo Moro.

Share via
Copy link
Powered by Social Snap