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La guerra come non so spiegarla a mio nipote

Vincenzo vive nella sua camera. Una naturale tendenza adolescenziale e personale a prendere le distanze, fisiche, dalla famiglia, supportata dal lockdown, dalla Dad, dai social, si è consolidata in questi ultimi mesi. Sporadicamente facciamo prudenti incursioni nella sua privacy. Preparo due mug con un earl grey e tento una sortita.

La sua postazione alla scrivania davanti al grande schermo del computer è la solita, ma la schermata no. Scene della guerra si susseguono davanti ai suoi occhi e commenti nelle cuffie. Mi siedo sul suo letto e aspetto. Stacca gli occhi e le cuffie e mi vede. Mi vede? Tacciamo. Scene di devastazione continuano a scorrere interrotte da primi piani di inviati muti malgrado le labbra in movimento. Gli porgo la tazza che poggia sul ripiano.

Nonna. E’ il suo modo di chiedere, è l’introduzione alle nostre conversazioni da quella prima volta che mostrandomi l’orsetto di peluche mi ha chiesto Nonnì, è buono? Non fa gnam di nessuno, no? No, è buono, mangia miele. E gli faccio il solletico con il pon pon della codina.

Lo schermo è occupato da un carrarmato, intorno gente che scappa. Nonna, Cerco parole e rassicurazioni, ma non ne trovo nemmeno una. Non avevo mai pensato che potesse esserci una guerra qui da noi. Una guerra così con i missili, i carri armati, le bombe, i soldati che uccidono, la gente che muore, che scappa. Se pensavo a una guerra la immaginavo da parte di alieni, con navicelle spaziali e armi che partono dalla mente. Una cosa insomma concepita solo da esseri non umani. Nonna, quei soldati sono poco più grandi di me. Guarda un po’ la pila di libri sul tavolo, un po’ lo schermo, un po’ la lattina di coca. E poi guarda me. Aspetta che spieghi, metta le cose a posto, anche se scomodamente, che rassicuri.

Non so, Vincenzo, neanche io, che pure sono anziana, ho mai visto una guerra. Anche io pensavo che sono cose lontane dal nostro mondo occidentale, per le quali protestiamo, facciamo dimostrazioni, mandiamo soccorsi, scriviamo, leggiamo, discutiamo e ci battiamo con i mezzi che abbiamo per la libertà e i diritti di tutti. Neanche io immaginavo…Ti potrei dire, come faccio quando studiamo insieme letteratura, che “Sei ancora quello della pietra e della fionda…”

Ti potrei dire che sarà la pace comunque ad averla vinta, ti potrei dire che ognuno di noi deve fare la sua parte, quella che gli tocca, ti potrei dire che tutto il mondo ha paura, ma che la paura non deve averla vinta sul coraggio, ti potrei dire, giocando un po’ d’azzardo, che noi non saremo toccati da questa sciagura ma che tanti come noi sono sommersi dalla sciagura…solo che il tempo degli orsetti è scaduto.

Potrei anche dirti che non posso fare a meno di sentirmi sollevata dal fatto che tu abiti a Catania, che hai 16 anni, che nemmeno al Luna Park prendi un fucile in mano, che il tuo solo, segreto corridoio umanitario è su Instagram con i tuoi amici. E sentendomi sollevata sprofondo in una voragine di colpa. La tazza è ancora lì, sulla scrivania. Intonsa.

Guardiamo muti le immagini che scorrono. Vincenzo non mi chiede più spiegazioni, ma si gira verso di me e mi circonda con le braccia. Io non avevo avuto il coraggio di farlo, e a ben pensarci è da un bel po’ che non l’ho più. Nonnì.

Vincenzo prende la fisarmonica, ultimo amore nella lista degli strumenti amati, e si mette a suonare.
Non sapevo che Russians si potesse suonare alla fisarmonica.
Aggiungilo alla lista delle cose che non sai.
Saranno loro migliori di noi, questo lo so.


Patologia: stati intensi e acuti di smarrimento
Terapia: preparate pure un earl grey, ma non è certo che ricorderete di berlo. Lettura: Genesi, cap. 4, 1-16

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