Dalle spiagge rocciose di Taiwan, davvero una Ilha Formosa come la descrissero i mercanti portoghesi nel diciassettesimo secolo, si possono osservare in queste ore tutti i movimenti della più grande esercitazione militare che la Repubblica Popolare Cinese abbia mai avviato. Caccia d’assalto, portaerei, droni, missili balistici. E tanto fumo nel cielo.
La causa di tutto questo angosciante spettacolo non è, come Xi Jinping e i suoi diplomatici vogliono far credere, la visita della Speaker americana Nancy Pelosi. Quest’ultima è soltanto un alibi, c’è qualcosa di più. Un’arroganza nazionalistica che si ostina a considerare l’isola come una provincia ribelle, un territorio da domare, che ritiene che i cittadini cinesi e taiwanesi siano sotto una stessa grande bandiera, quella della Cina Unica.
La Repubblica Popolare ha mal digerito la visita di Nancy Pelosi in quanto essa rappresenta una conferma della sovranità dello Stato taiwanese, indipendente e democratico, libero da ogni vincolo con la Cina e anzi, sempre più vicino all’America, al Giappone e all’Australia, sia economicamente che culturalmente parlando. La Cina di oggi ha la presunzione di dichiarare che Taiwan non sia sovrano – non sia quindi uno Stato – e che, pertanto, non abbia libertà di scelta nelle sue politiche, interne o estere che siano.
Pesa la storica umiliazione che Taiwan fece alla Cina di Mao, quando nel 1949 l’isola si dichiarò indipendente, e fu rifugio di più di 2 milioni di dissidenti, contrari alla deriva comunista della madrepatria. Pesa ancora di più, dagli anni ’90, la svolta liberal-democratica che Formosa ha vissuto, oggi una solida democrazia con Presidente eletto mediante voto popolare. Chiaramente un sistema politico distante da quello totalitario cinese.
Un altro grande oltraggio è il rapporto privilegiato che Formosa ha con gli Stati Uniti, i quali, nonostante qualche tentennamento, sono di fatto dal 1945 la prima superpotenza mondiale. Un primo posto che Xi Jinping brama raggiungere entro il suo pensionamento, previsto per il 2032. L’America, nonostante l’ambiguità strategica, ha continuato a coltivare intensi rapporti economici, militari e commerciali con l’isola.
Oggi Taiwan è uno stato democratico indipendente, con una economia capitalista e liberale, con un popolo profondamente convinto delle libertà che possiede, e ancor più convinto delle tante divergenze che vi sono tra il modello taiwanese e quello cinese. Basti pensare che Taiwan è classificato nella top 10 mondiale secondo gli indici di libertà economica e democrazia.
L’isola rappresenta davvero l’alternativa democratica alla Cina autoritaria della terraferma. E ciò per Xi Jinping non può che essere una ulteriore umiliazione. Ecco allora spiegate le continue incursioni aeree nel territorio taiwanese, la propaganda sfrenata architettata con il chiaro obiettivo di destabilizzare il sistema politico dell’isola, le restrizioni economiche mirate a colpire i settori trainanti di Formosa, o le costanti minacce, l’ultima di pochi giorni fa prima dell’atterraggio della Pelosi: “Chi gioca col fuoco si brucia”.
Nessuno si augura che tutto ciò porti ad una pericolosa escalation. Sicuramente questo continuo mostrare i muscoli, to show off the muscles, come gli studiosi americani dicono, è sintomo di un atteggiamento cinese prepotente e dittatoriale. Nessun paese libero può tollerare tale comportamento. Quello che sta accadendo in queste ore non può e non deve essere dimenticato. Pechino, con la sua politica aggressiva, va fermata. È d’obbligo oramai ripensare il quadro geopolitico mondiale, fondamentale rivederne i suoi equilibri.