Questa è una favola raccontata ai tempi del Covid19, quando il cattivo orco Coronavirus spargendo avvelenati filamenti nell’aria ha magicamente ricondotto gli uomini in un’altra epoca, ha ristretto il mondo fra le pareti della nostra casa, ha reso lontani e irraggiungibili luoghi vicinissimi e altrettanto lontane e irraggiungibili tutte le persone che non fossero strettamente congiunte. E noi, dopo essere passati attraverso tutti gli schermi luminosi a disposizione, libri e giornali, forni e fornelli, terrazze balconi e finestre, 10.000 passi fra camera e corridoio, palestra a distanza e corsi di meditazione, non abbiamo avuto a nostro conforto o sconforto che loro, gli amati/odiati, gli evitati/ricercati, i non distanziati, i sempre presenti “affetti familiari”. A questo punto non ci restava che metterci attorno al fuoco (dite che era già primavera?) e raccontare fiabe.
C’era una volta Tobia, un nobile e generoso cavaliere. Il bello di Tobia è che c’è ancora, magari sarà perito tecnico e non cavaliere, ma sempre nobile e generoso. Concediamogli pure di non arrivare al nostro portone su un destriero bianco, ma su una altrettanto bianca Punto, di non annunciarsi percuotendo il batacchio ma premendo il pulsante di un comune citofono. Di non sfoderare una lucente spada, ma un comune sacchetto di carta da dove spuntano foglie e fiori.
Tobia bussa e dice “Buongiorno, ho portato i fiori” e deposita il sacchetto nel portone (non è congiunto al punto di salire le scale) e, rapido e schivo, prima che io lo possa raggiungere con un accenno di conversazione va via inseguito solo dal Grazie.
A questo punto è necessario un flashback, anche se la struttura delle fiabe non lo prevede.
Dovete sapere che in una terra lontana lontana, in un tempo vicino vicino, viveva, vive, una fata. No, non raffiguratevi subito un’esile, eterea fanciulla dai lunghi capelli turchini. Se volete un indizio, pensate piuttosto alla fata Smemorina della Cenerentola di Disney. La fata in questione ha chili, simpatia e bontà in abbondanza e per quanto riguarda i capelli il colore è bianco e la lunghezza solo di qualche centimetro. Si destreggia la fata Maria fra cipolle e pomodori e lattughe, figli e nipoti, parrocchia e lavoro, aspirapolvere e libri. Molti e molti anni fa, fata Maria ha esaudito il desiderio di una giovane, allora, inesperta Casalinga e le ha fatto la solenne promessa di trasformare la sua disorganizzata dimora in un castello di ordine, pulizia, splendore. Con il tocco della sua bacchetta magica? Sì, se per bacchetta si intendono detersivi, spazzole e lucidatrici. E come se non bastasse, ogni martedì fata Maria aggiunge un ulteriore dono: (oggetto magico secondo lo schema di Propp) al suo arrivo fa comparire come per incanto da un sacchetto di carta un fascio di fiori di campo raccolti nella sua terra lontana lontana.
Questo fino a quando non è sopraggiunto l’orco Coronavirus che con il sortilegio del lockdown, ha separato l’ormai invecchiata Casalinga e la sui generis fata. Il castello si è ravvolto in una nube di polvere e ha perso lucentezza e splendore, profumo di fiori. Infelice, solitaria Casalinga! Chi la salverà liberandola dalle catene della tristezza? E’ questo il momento del cavaliere Tobia pronto, come in ogni fiaba che si rispetti, a superare dure prove. Incurante del virus, del lockdown e di ogni insidia, con la sua bianca Punto, la maschera/mascherina sul volto, i guanti igienizzati, recupera al volo il sacchetto di fiori che fata Maria gli fa trovare sull’uscio e in un lampo raggiunge l’altro uscio, quello del castello e… batacchio, citofono, spada, Buongiorno ho portato i fiori. Ma questo ve lo ho già raccontato.
Patologia: disposizione incrollabile a credere nelle fiabe.
Terapia: non esistono vaccino e cura per questa sindrome. Pare che nessun ricercatore li ritenga necessari.