In parole semplici l’idea era: se vuoi i soldi devi comportarti a modino. In parole ancor più semplici la risposta era stata: voglio i soldi e faccio come mi pare. Questa la sintesi delle posizioni di Polonia e Ungheria da una parte, e resto d’Europa dall’altra, a proposito del rispetto dello Stato di diritto come condizione all’accesso ai fondi del bilancio 2021-2027. La questione è ormai risolta: il duo ha infine sostanzialmente ceduto perché più che l’idea può il digiuno (di fondi).
Ora, porre delle condizioni all’erogazione di denaro è sempre Stato considerato più che ragionevole. Anzitutto, se ti presto dei soldi me li devi restituire. Poi potremmo concordare anche un tasso d’interesse. Oppure potrei pretendere delle garanzie rispetto alla tua capacità di ripagarmi, e così via. In questi esempi le condizioni poste hanno tuttavia carattere esclusivamente economico. La banca, cioè, non ha interesse ai tuoi gusti musicali e mai pretenderà che tu vesta in modo classico anziché casual nella tua vita di tutti i giorni: le basta che paghi, fossi anche in mutande.
L’erogazione di denaro sotto condizione di mantenere certi comportamenti pone invece qualche problema in più. Evoca la paghetta ai figli, che può essere sospesa se il genitore non trova adeguato il comportamento della prole, con tutte le accuse di paternalismo o di tentato ricatto che possono derivarne nelle relazioni tra Paesi egualmente sovrani.
Può forse un Paese pretendere di “educarne” un altro? Ecco perché, diceva la democratica coppia dell’Est d’Europa, non si possono porre condizioni che non abbiano a che fare con l’economia: ne andrebbe della libertà dei singoli popoli. In base a che cosa potrei io infatti pretendere, in cambio di denaro, che un popolo rinunci ad esempio alle proprie tradizioni? Se tradizionalmente un popolo discrimina in base all’orientamento sessuale dei propri cittadini o assoggetta le corti al potere politico o incentiva le donne a restare a casa per dar figli alla patria, non è un’indebita ingerenza intimargli di cambiare?
Il punto è che l’Europa si costituisce su una premessa specifica, la democrazia liberale, che reca con sé lo Stato di diritto, che implica a sua vota tanti diritti e vincoli, dal divieto di discriminazioni all’obbligo di motivazione delle sentenze, dall’indipendenza dei giudici all’onere della prova. Se non hai voglia di accettare questa premessa non puoi far parte dell’Unione né condividerne i benefici, compresi quelli economici.
È precisamente contro questa premessa che si sta combattendo oggi la sfida epocale contro Putin, Trump e quei loro sodali in giro per il globo che vanno teorizzando, più o meno esplicitamente, che la democrazia possa anche essere illiberale, che essa cioè consista soltanto nel recarsi alle urne e poi ritirarsi obbedienti. Costoro sono uniti proprio contro i principi su cui l’Europa è stata edificata e senza i quali essa non potrà in alcun modo sopravvivere.
Sarà una sfida globale che ci accompagnerà a lungo, specie nei tempi di crisi, quando cresce l’istinto di rifugiarsi nelle care vecchie e rassicuranti tradizioni, fossero gli amati confini nazionali, la messa di Natale a mezzanotte, la sberla educativa alla coniuge indomita o perfino, ove proprio serva, un giretto a cavallo, incappucciati di bianco, a bruciacchiare malcapitati.