Un Natale povero, non misero o trascurato o raffazzonato. Un Natale povero non è per nulla semplice o sbrigativo. Richiede tempi lunghi di pensieri e scelte, gioca a eliminare, e se ci pensiamo è molto più difficile togliere che aggiungere. Nell’abbondanza, di qualsiasi genere, si trova sempre qualcosa che ci va bene. Un vestito in un armadio zeppo, un cibo in un ricco buffet, un compagno in una classe, un film su Netflix, una poesia in una antologia, un quadro in una mostra, un paesaggio in un viaggio e mi fermo qui.
Un Natale povero è sobrio, semplice e intenso. Diverso, secondo i dettami dell’imprevista e inimmaginabile pandemia, del Dpcm, dell’avvedutezza personale e collettiva. Dunque eliminare, ma cosa?
I primi tagli sono i più facili: la confusione, il chiasso, i distratti abbracci e baci, i regali obbligatori, i convitati insopportabili, l’affanno. A stretto giro segue lo sfarzo kitsch di luminarie a giorno da balconi e finestre, le tavolate dalle dubbie e sparigliate apparecchiature, il numero infinito di cibarie copiate dai video di stellati o sedicenti chef, la serie di sciarpe o portachiavi da destinare subito, mentalmente, ai prossimi ricicli. L’ alternativa tra la Messa di mezzanotte e il più comico dei film di Natale, tanto a quell’ora e con gli alcolici che abbiamo bevuto, l’indomani non ricorderemo dove è caduta la scelta.
Eliminiamo la noia, la stanchezza, il peso, e il prossimo anno alle Hawaii. Rottamiamo i finti sentimenti di bontà. E per finire liberiamoci dalle lagne insulse, dal piagnucolio infantile, dall’incapacità di leggere i numeri, i dolori, le mancanze, le tragedie, gli eroismi della porta accanto di questo nostro tempo. Liberiamoci dal sentirci l’ombelico del mondo.
E dopo le eliminazioni, salvare.
Salviamo gli affetti, siano conviventi, congiunti o distanti. Per fortuna l’andirivieni dell’amore non ha bisogno di aerei, treni, auto. Possiede corsie preferenziali dove si procede lentamente o velocemente, tanto si arriva sempre e c’è perfino un sentiero malinconicamente autunnale per quelli che non possiamo più vedere nemmeno in videochiamata.
Salviamo il presepe, l’albero, la ghirlanda, l’angioletto o quanto le nostre tradizioni o fantasie ci suggeriscono. Salviamo la processione, anche se di taglia xs, per portare il Bambinello e accettiamo che quest’ anno non ne abbia 5 ma 50 anni chi avrà il privilegio di deporlo nella mangiatoia. E sulla tovaglia ricamata facciamo scorrere i piatti del nostro personalissimo ricettario natalizio, anche se l’effluvio del baccalà aleggerà per i giorni a venire.
Salviamo i doni, non regali, studiati, pensati in anticipo per non farci sorprendere da qualche ritardo di Amazon. Riscopriamo l’essenza profonda dei riti. Salviamo il silenzio con le sue voci, la musica che trasporta, i libri che ci mettono le ali.
Salviamo una preghiera, devozionale o laica a scelta, che ringrazi per la Luce che sempre e comunque torna dopo il buio. Salviamo i ricordi, il presente, il futuro.
- E visto che abbiamo parlato di un Natale povero
- Visto che abbiamo detto che povertà vuol dire eliminare
- Visto che vogliamo portare come esempio Francesco che ha eliminato ad una ad una ogni veste ostentando il fulgore della nudità (subito coperta dai benpensanti che dell’autenticità della bellezza hanno spesso paura)
- Visto che la povertà è nella sua accezione nobile, non in quella di bisogno, aspirazione alla libertà
- Visto che se scelta, la povertà è rottura di schemi e proclamazione di un nuovo punto di vista
- Visto che la povertà ha per unità di misura la bellezza (quella che salva il mondo)
- Visto che impoverire alla fine significa arricchire
- Visto tutti questi visto,
salvo il Natale povero di quest’anno e con lui la speranza. Ma non la speranza abusata di #andràtuttobene, di facili quanto labili buonismi, di promesse di marinaio, di castelli di carta, quella che vola sull’onda della paura e che si inabissa quando il pericolo personale scompare.
Salvo la speranza che questa nostra fragile e contraddittoria umanità saprà costruire insieme con l’impegno, la fatica, il coraggio, la generosità, l’intelligenza del cuore. L’amore in una parola.
Quella che di un bambino in una mangiatoia ha fatto un dio.
Patologia: forme di infantile capricciosità
Terapia: e se invece del tè una bella camomilla con valeriana che giova sia all’umore che a una probabile difficoltà di digestione? Non un libro, basta una sola poesia, Natale di Giuseppe Ungaretti, da Allegria di naufragi.