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Questione di indirizzi

Scrivevo diari, tanti diari che avendo seguito la mia evoluzione dall’infanzia all’adolescenza alla gioventù, si presentavano molto variegati, tranne nella prima pagina, quella d’inizio d’anno. Lì il copione, con le variabili legate al lessico alla sintassi allo stile alla scrittura, è identico nella sostanza: vertigine di fronte a tutti quei fogli bianchi che avrei riempito di un futuro sconosciuto e imprevedibile; rimpianto appena accennato, il passato essendo ancora allora limitato, per l’anno trascorso; propositi per l’anno nuovo.

Ora ho davanti una pagina immacolata di Word e un anno nuovo appena cominciato. Questa volta la vertigine diventa un vero mancamento di fronte ad una sequela di giorni che sono pur sempre pagine bianche da riempire di un futuro sempre più sconosciuto, sempre meno prevedibile, decisamente incerto. Un rimpianto, malgrado tutto, per l’anno passato che oggi se non altro sappiamo come è passato e che tutto sommato diviene rassicurante per il solo fatto che è trascorso.

E i propositi? Beh, quelli si possono sempre fare non sono pericolosi come i progetti.

Vediamo un po’. Per schiarirmi le idee mi conviene prepararmi un tè, un buon tè, uno di quelli che ti fanno volare in alto con la mente. Fra le lattine schierate è lui il più alto, cresce a Darjeeling, alle pendici dell’Himalaya a più di 2000 m. di altitudine, è un tè blu dal nome accattivante liquido luminoso Ambre. Sembra di gustare aria pura, acqua cristallina e velluto di cielo. Un tè così non può che fare scaturire grandi propositi.

Potrei ripromettermi di non intervenire con buoni consigli nella vita dei miei figli, di non essere petulante, di collaborare ad educare e non solo viziare i miei nipoti, di essere più presente con le mie sorelle, con gli amici, di non entrare in letargo davanti al camino, di credere fermamente che ritornerò a viaggiare, di leggere fino in fondo l’Ulisse di Joyce, di preparare qualcosa per cena, di chiudere la TV quando ci sono Quelli ai talk show, di mandare al diavolo Luisa.

Decisamente questo tè è frizzante come l’aria dell’Himalaya, mi potrebbe far continuare all’infinito, tanto si sa che i propositi non si mantengono, lo si constaterà nell’ultima pagina, quella di fine anno.

Mi metto comoda e prendo in mano il libro che sto rileggendo e che ho destinato a questi pomeriggi tranquilli dopo le feste, Diario d’inverno. L’autore Paul Auster, ha, più o meno la mia età e nel libro la stessa urgenza di ripercorrere la propria vita, lo stesso sbalordimento di fronte ai propri anni e a quelli che restano. Lui si racconta tramite il corpo, legge la sua vita attraverso le cicatrici, i cambiamenti, i dolori e i piaceri fisici. Si narra elencando i 21 indirizzi in cui ha abitato, si rivolge a se stesso in seconda persona quasi a volere mantenere le giuste distanze per analizzare e capire. Ti piacerebbe sapere chi sei, si dice. Gli piacerebbe poter mettere indirizzi anche ai suoi amori, ai sapori di cibo, di sesso, di vista, gustati o disgustati negli anni, agli incontri, agli errori, fallimenti, successi. Alle parole, ai silenzi, alle angosce e alle certezze, al passato e al presente. E conclude dicendo che bisogna accettare di cambiare ancora indirizzo: Una porta si è chiusa. Un’altra si è aperta. Sei entrato nell’inverno della tua vita.

Guardo la copertina, l’intenso viso di Auster, gli occhi grandi, i capelli lunghi e grigi. Grigi? In realtà, solo ora mi viene in mente, in questi ultimi giorni due propositi li ho fatti: rinnovare colorandolo il mio guardaroba prevalentemente grigio e distruggere i miei diari. Chi dice che l’inverno della vita debba per forza essere noioso?

Patologia: stati di vertigine e smarrimento

Terapia: il miglior tè che possedete, da bere da una certa altezza, se non altro in piedi e Diario d’inverno di Paul Auster, da leggere solo se avete una certa età e una poltrona molto comoda.

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