Non ho chiuso occhio tutta la notte, non potevo pensarci. Mi arriva flebile al telefonino la voce di Matilde.
Che cosa è successo?
Il cuore mi salta in gola. Domani è il mio compleanno.
Respiro profondamente. E con questo?
73, capisci, 73.
Sì, lo so, tra poco li farò anche io.
È una vera disgrazia.
Che capita puntualmente da 73 anni, suppongo.
Ma mai 73. E’ un vero incubo.
Vuoi dire che non festeggerai?
Vuoi dire che c’è qualcosa da festeggiare?
E sì, lo confesso, per me il compleanno è una grande festa, ho la megalomania del compleanno. Ci penso, lo preparo, l’organizzo. Lo programmo nelle grandi linee e nei dettagli. Rinnovo i vecchi tradizionali rituali, ne aggiungo qualcuno nuovo, qualche altro, per forza di cose o per noia, lo elimino. Non è comunque un giorno abbandonato al caso. Direi che lo partorisco dopo averlo tenuto in gestazione per dodici mesi e quando nasce me lo coccolo, lo tengo al caldo del mio abbraccio, lo mostro soddisfatta a tutti. E inevitabilmente, come ogni figlio alla sua mamma, lo trovo il più bello.
Prima di addormentarmi la sera precedente la fatidica data, mi racconto la storia di quella ormai lontana notte. Quando ero piccola me la raccontava mio padre: C’eravamo una volta io, tua madre e le tue due sorelle più grandi, c’era tua nonna, c’era la casa dell’Immacolata e al primo piano Daniele con il suo forno. C’era una notte di vento fulmini tuoni e pioggia, c’era una luce che andava e veniva e bisognava tenere accesi lumi e candele, c’era l’acqua che bolliva in cucina, c’erano le donne, parenti e serve, venute a dare una mano, c’era una ostetrica che era andata in campagna ad assistere un’altra partoriente. C’eri tu che volevi nascere. E allora io e Daniele, il fornaio che la notte faceva giorno per preparare il pane, ci incamminammo con una lanterna per strade e i sentieri bui, da tutti i lati ci assaliva il drago del maltempo, per cercare te che la cicogna – non potendo avventurarsi con quella pioggia – teneva al sicuro sotto un grande albero e sotto la sua bianca ala. Cammina cammina cammina finalmente scorgemmo la grande quercia (il vento faceva uuuuuuh, le foglie si aggrappavano ai rami che si scuotevano come braccia alzate, il cielo si era nascosto sotto una coperta nera) e la lanterna di Daniele scoprì, accanto al tronco protetta da una volta di foglie, una cicogna bianca tutta raccolta in un nido di piume che ti aveva conservato al caldo e all’asciutto. Sorrise la cicogna quando ci vide (Ma papà le cicogne non hanno la bocca, hanno il becco lungo lungo – Ma tu guardale negli occhi le cicogne e vedrai che quando portano un bambino sorridono) sorrise ed aprì il suo nido di piume. Fra il bianco come neve di quella peluria io scorsi una bambina piccola piccola che dormiva tranquilla e aveva una leggera sorpresa sul viso e nelle manine racchiudeva …(si fermava papà a quel punto, ed io Che cosa papà? Racchiudeva un anello magico che quando l’avrebbe infilato al dito…Che sarebbe successo papà? Eh, Nadina, questa è un’altra storia, viene dopo, te la racconto domani No, no, raccontamela ora. Non posso, mamma dorme, le tue sorelle pure, ora devi dormire anche tu. Ma domani me la racconti? Si, domani. Ora dormi, dormi.) Io a quel punto mi ero già addormentata. E come è finita, o continuata, la storia me la posso raccontare da sola ora che è già domani.
Matilde ride. Ricevuto, proverò a raccontarmela anche io la mia storia, così magari mi addormento e faccio pure bei sogni.
Patologia: forme più o meno gravi di megalomania
Terapia. Il tè del compleanno è una calda cioccolata da sorseggiare nelle tazze buone della nonna, e visto che ci siamo addentrati nel passato facciamoci guidare da Gabriel Garcìa Marquez e dalla sua lapidaria affermazione Vivere per raccontarla. Non è il più bel libro dell’autore, ma è certamente una buona chiave di lettura degli altri suoi romanzi, della conoscenza dell’uomo che li ha scritti. Il periodo narrato è quello che va dall’infanzia alla giovinezza su cui tanto facilmente si ritorna con la memoria quando come lui (ultrasettantenne) si è avanti negli anni.
Raccontarsela la propria storia perché solo ciò che si narra tesse una trama tra noi, gli altri il mondo. Assecondare il tempo, passato presente futuro, per cercare di coglierne il segreto. Dare un senso agli accadimenti della vita, cause-effetti, evidenze-misteri, necessità-causalità. Rintracciare la nostra immagine nella foto di gruppo di cui facciamo parte e scoprire se lo scatto è riuscito o no. Raccontarci, per rassicurarci di esserci o essere stati in questo mistero che è la vita. D’altronde anche Dio per affermarsi si è raccontato.