Dopo la vittoria elettorale di Biden si è aperta la possibilità di far rivivere l’accordo nucleare iraniano, dal quale Trump si è tirato fuori con una mossa che ha spinto Teheran a riavviare le sue centrifughe e riprendere ad arricchire l’uranio al fine di ottenere la fatidica bomba. Ma anche arrivare al punto di riprendere i negoziati richiede una buona volontà che oggi non è alle viste. Specie se si considera che, in entrambe le nazioni, anche la politica interna da cui dipende l’accordo è a dir poco insidiosa.
L’ayatollah Ali Khamenei domenica scorsa ha detto chiaramente che l’Iran ritornerà agli impegni che si è assunto solo se gli Stati Uniti toglieranno le sanzioni che hanno imposto di nuovo con l’amministrazione precedente. E il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, intervistato da Fareed Zakaria nell’ultima puntata di GPS, la più importante trasmissione della CNN dedicata alla politica internazionale, ha sostenuto che, poiché gli Stati Uniti si sono tirati fuori per primi dall’accordo, tocca ora a Biden dimostrare che Washington ha intenzioni serie. «L’accordo, come qualsiasi intesa internazionale, non è una porta girevole. Non possono semplicemente andare e venire come pare a loro», ha detto Zarif riferendosi ovviamente agli Stati Uniti.
A tre settimane dal giuramento, non è ancora chiaro quale sia esattamente la strategia che Biden ed il suo team hanno definito per far rivivere l’intesa nucleare. Ma nel corso della tradizionale intervista del presidente americano in occasione del Super Bowl, Biden ha detto alla CBS che, prima di togliere le sanzioni, l’Iran deve ritornare agli impegni che si è assunto. Gli Stati Uniti, inoltre, potrebbero anche cercare di spingere per un’intesa più ampia che, per esempio, comprenda il programma missilistico iraniano (un passo che, come Tehran ha messo in guardia, non porta da nessuna parte).
Questi punti di vista concorrenti non sono necessariamente inconciliabili. Dopo tutto, entrambe le parti vogliono rientrare in gioco. Ma potrebbe esserci bisogno di una diplomazia creativa da parte degli altri firmatari dell’accordo, in Europa e in Russia.
Il tempo sta per scadere, e non soltanto nel senso che il nuovo segretario di stato Anthony Blinken ha fatto intendere la scorsa settimana, quando ha causato un certo scompiglio sostenendo che l’Iran era a «settimane» di distanza dall’avere abbastanza materiale nucleare per una bomba.
L’Iran si sta avviando verso un’elezione presidenziale che, a giugno, potrebbe partorire un presidente più intransigente di Hassan Rouhani, che, proprio sull’accordo nucleare, ha messo in ballo la propria reputazione e che è stato danneggiato in casa prorpria quando l’accordo è fallito.