L’India, la più popolosa democrazia del mondo e partner strategico di COVAX, sta affrontando una letale ondata di Covid-19. Fonti della BBC e di altri media internazionali riportano, ormai quotidianamente, le difficoltà che le strutture sanitarie e ospedaliere indiane stanno affrontando in questo momento: la carenza di infrastrutture adeguate, apparecchiature mediche, letti, ossigeno, farmaci essenziali.
Secondo i dati resi disponibili dal Ministero della Salute indiano, al 30 Aprile 2021 nel Paese si registrano più di 3 milioni di positivi e più di 200mila morti ma, data la mancanza di apparecchiature disponibili per effettuare test sanitari sufficienti sulla popolazione, da più parti i numeri sono ritenuti inferiori rispetto alla situazione reale. La percentuale di vaccinazioni effettuate, secondo quanto riportato dal Covid-19 data explorer di Our World in Data, sarebbe invece intorno al 8,8% della popolazione totale.
Il governo indiano di Narendra Modi (in carica dal 2014) ha adottato un approccio contenitivo del virus, attraverso chiusure e lockdown di varia durata ed intensità. Il tessuto economico indiano però non ha retto alle restrizioni prolungate ed il Paese ha registrato al 20 Agosto 2020 una contrazione del -23.9% del PIL. Le chiusure non sono comunque bastate a contenere la diffusione del virus, i contagi sono aumentati e la penuria di farmaci ed ossigeno ha poi favorito un vero e proprio commercio illegale sottobanco di materiale sanitario.
L’India immaginata da Modi ed il BJP è un Paese alla pari delle grandi potenze, capace di giocare un ruolo chiave nell’arena internazionale e in questa pandemia. Ma come ogni buon nazionalista, però, il primo ministro sopravvaluta le capacità reali della propria nazione e ne sottostima spesso le debolezze.
La portata della seconda ondata ha infatti costretto Nuova Delhi a retrocedere (temporaneamente) dagli impegni internazionali contratti, primo fra tutti la fornitura di dosi di vaccino AstraZeneca all’Iniziativa COVAX, colpita dal ban delle esportazioni emesso dal governo centrale per far fronte alla penuria interna di dosi.
L’iniziativa, che si pone come obiettivo l’immunizzazione del 20% della popolazione totale entro il 2021, ha finora distribuito complessivamente più di 54 milioni di dosi in 121 Paesi. Nonostante le rassicurazioni dei vari portavoce Unicef, Gavi e WHO sul prosieguo delle spedizioni, nella realtà il dietrofront indiano ha seriamente compromesso la disponibilità immediata di dosi per COVAX nonché il suo cronoprogramma, facendo registrare un numero totale di spedizioni che al momento è di molto inferiore alle stime previste. Questo perchè l’India è stato finora un partner strategico per l’iniziativa in quanto ospite del Serum Institute of India, il maggiore produttore di AstraZeneca al mondo, che è il principale fra i vaccini resi disponibili per i Paesi a medio e basso reddito da COVAX.
Questa storia è ancora lontana dalla sua fine, tuttavia due considerazioni ci sembrano possibili. La prima è che COVAX con la sua struttura ibrida pubblico-privato può considerarsi sicuramente una novità nel panorama internazionale, e quasi una necessità, ma con ancora molti angoli da smussare riguardo la trasparenza degli accordi e la solidità della sua catena di approvvigionamento e distribuzione.
La seconda riguarda l’India, un Paese che si affacciava all’inizio del millennio nella competizione internazionale come un grande protagonista, ma che non ha saputo, come molti, fare i conti con le sue debolezze strutturali e superarle, ritrovandosi nazionalista ma divisa, in difficoltà di fronte ai colpi più duri di questa pandemia.