Da ragazzina sognavo una stanza tutta mia. Ho sempre diviso la stanza con le mie sorelle. Camere tante per la verità in quanto mia madre amava i cambiamenti e le novità e pertanto non abbiamo mai avuto una fissa dimora. Sono nata nella casa dell’Immacolata, ma non nella stanza da letto dei miei genitori, come si usava allora, ma in una delle stanze da letto di Nonna, quella del 1948. Una all’anno, da quel 1918 quando nonno Cesare lasciò definitivamente la sua casa, il suo letto, la sua adorata moglie e quattro piccoli orfani. Mia Nonna lasciò in quello stesso giorno il bel letto d’ottone con il copriletto in seta con angeli e serti di fiori e fino al 1962 si coricò in uno spartano lettino di ferro, concedendosi solo il lusso di spostarlo ogni anno da una stanza all’altra.
Nulla fu più definitivo. Passai poi nella culla in camera da letto dei miei genitori da cui fui spodestata due anni dopo quando nacque Gabriella e pertanto mi spostai in un lettino nella stanzetta delle mie sorelle più grandi. Non feci in tempo ad abituarmi alla vista a mare e ai fiorellini rosa della tappezzeria che Mamma ci trasferì nella casa paterna del Cancello. Lì dormimmo i primi mesi, fintanto che si conclusero i lavori di ristrutturazione, con grande gioia e serenità delle mie notti (niente orchi ghiotti di bimbi né ladri dietro le finestre) in uno stanzone tutti insieme.
E poi ci fu una stanza con lettini ad incastro e con attitudine alle varianti di poster e librerie e specchi per i primi trucchi e poltroncine per le amiche, che assecondarono i cambiamenti dei nostri anni. In seguito fu un andare e venire tra l’Immacolata e il Cancello in una variante di stanze con vista a mare, a monte, a via Duomo, al soggiorno del dirimpettaio, ma con la costante della condivisione con le mie sorelle .
A 18 anni non divenni adulta (allora lo si diveniva a 21) ma con il tesserino di matricola in mano potevo pretendere una stanza tutta mia, se non altro per studiare. Mi aspettavano invece camere a 2, 4 o più letti nei collegi dove allegramente, mutevolmente, goliardicamente, vissi i miei anni di universitaria. Discussa la tesi, salutate le amiche di stanza dopo esserci giurate amicizia eterna o almeno incontri o in alternativa lettere frequenti o pigramente telefonate (e ora guardando vecchie foto cerco di ricordarmi i nomi) pensai che finalmente, tornata a casa, avrei avuto una stanza tutta per me. Ma la casa del Cancello esigeva una ennesima ristrutturazione e pertanto le mie sorelle e io ci adattammo in una sola stanza.
Seguirono due anni in cui Enzo e io desiderammo insieme una stanza tutta per noi, possibilmente con l’aggiunta di un soggiorno più servizi essenziali. E in quella prima casa di Milano, all’inizio del tutto sprovvista di mobili tranne un lettino condiviso, stesi la coperta di seta con angeli e serti di fiori e costrinsi il destino a scrivere tutt’altra storia.
Le case cambiarono, le stanze cambiarono, i letti cambiarono, ma resistette la coperta di seta e la storia che ci raccontammo. Continuammo a desiderare una stanza tutta per noi, non tanto affollata. Meno culle ai lati del letto, meno ospiti nel lettone. Ce la prendemmo tuttavia allegramente, d’altronde eravamo stati noi a scrivere 6 capitoli inediti. Ogni tanto, è vero, invece di sognare ladri di bimbi e oscure trame, sognavo una stanza tutta mia dove leggere, scrivere, dormire una notte intera, mettere musica vera, chiacchierare con le mie sorelle, ricevere un’amica, bere una tazza di tè. Fare nulla, ascoltare il silenzio. Ma per la verità furono sogni brevi, già dimenticati al mattino.
Poi cominciò la conta degli anni, soprattutto quelli passati. E la conta delle stanze vissute. Le sommavo, sottraevo moltiplicavo e dividevo, ma mai ne è risultata una tutta per me. Ora ho una sequela di stanze tutte mie e sogno una stanza da dividere. Con te.
- Patologia: attitudine a fare sogni ad occhi aperti.
- Terapia: camomilla a posto del tè, non farà dormire lo stesso e pertanto sarete autorizzati a fare sogni ad occhi aperti.
- Libro: la scelta è quasi obbligatoria, Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Le ragioni per cui Virginia Woolf desiderava una stanza tutta sua non erano logistiche come le mie, ma partivano da un’analisi lucida della condizione femminile. La sua è un’esigenza di indipendenza della donna in quanto donna. Nel libro che viene considerato un saggio sulla letteratura femminista l’autrice afferma “Una donna deve avere i soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere”. Giusto Virginia, a condizione che ci siano tante altre stanze da condividere.