L’Europa non s’è finora mai davvero fatta, se non quella delle élite. Perfino l’Europa degli Erasmus, la più popolare e spensierata, è pur sempre un po’ elitaria perché all’Università devi prima andarci per poterne poi partire a mescolarti con altri studenti del resto dell’Europa.
Questi giorni drammatici sono probabilmente gli ultimi in cui un’Europa non ancora popolare, ma almeno non più esclusiva, può davvero nascere. Nell’emergenza infatti le esigenze dei diversi Paesi coincidono: attrezzarsi per contrastare la pandemia, rimediare ai suoi danni, raddrizzare l’economia.
L’unico luogo di reale unità attualmente a disposizione, però, la moneta, quel che può ha già fatto, e fare di più non può. Ciò che è invece davvero in grado di svolgere, anche nell’immaginario collettivo, un ruolo finalmente costitutivo dell’identità europea è l’emanazione di titoli di debito comuni, i cui introiti vengano indirizzati a politiche comuni.
La questione degli Eurobond è sul tavolo dei governi europei pressoché da sempre, ma l’ostilità dei Paesi nordeuropei l’ha sempre resa impraticabile poiché si presentava come il mezzo per ripartire a loro carico il di più di debito contratto dai Paesi meno attenti, Italia in primis.
Oggi le condizioni eccezionali in cui versiamo possono far breccia anche negli interlocutori meno disponibili a condizione che chi invoca gli Eurobond alzi l’asticella della propria responsabilità: tutto ciò non dovrà poter servire ai singoli governi nazionali per ritrovarsi con più risorse a buon mercato. Dovrà invece confluire in un bilancio europeo messo ad esclusiva disposizione della Commissione, organo in cui ogni Paese dell’Unione è peraltro rappresentato.
A problema europeo corrispondano rimedi europei. Per un’unione politica dell’Europa si deve partire da qui.