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Fase 3: sanzionare i furbi ma distinguere tra errore e truffa per non deprimere ulteriormente l’economia

I trecento miliardi di euro stanziati dal governo per salvare il Sistema Italia dalla pandemia del Covid-19 che ha messo in ginocchio aziende, negozi, ristoranti, intere località turistiche, sono la posta intorno a cui si muovono legittime esigenze di sopravvivenza, gesti dettati dalla disperazione e appetiti ben più oscuri. Da un lato, da Nord a Sud, le Procure d’Italia sono in allarme per il timore non solo di truffe su piccola scala messe in piedi dai “furbetti del cornavirus” ma soprattutto dell’ingresso a gamba tesa della criminalità organizzata nella Fase 3 del virus. Dall’altro lato, avvocati e dottori commercialisti seri sono altrettanto preoccupati: il confronto degli imprenditori e del legislatore con una situazione senza precedenti impone un percorso “open” che sarà valutato necessariamente ex post dalla magistratura, nel caso in cui qualcosa andasse storto. In sostanza: il management di un’azienda oggi deve tutelarsi a trecentosessanta gradi, con un livello di prevenzione e vigilanza assai più alto del passato, per potersi discolpare domani. Da un range di potenziali accuse che spaziano dal falso ideologico alla truffa aggravata, con l’eventualità – se le cose prendessero una brutta piega – di tutti i reati concursuali fino al “mantello” delle operazioni dolose.

Ad aprile scorso i capi delle Procure di Milano e Napoli, Francesco Greco e Giovanni Melillo, avevano già denunciato in una lunga lettera a “Repubblica” i rischi che vedevano connessi a questa “gigantesca iniezione di liquidità pubblica” con la prospettiva che i soldi finissero nelle tasche di mafiosi, riciclatori ed evasori fiscali. Il clima politico, insomma, avrebbe portato ad accelerare le pratiche a scapito dei controlli, meno sistematici e rigorosi del normale. Nel mirino i finanziamenti garantiti dalla Sace, i mutui agevolati, ma anche il meccanismo dei crediti d’imposta, i subappalti a cooperative fittizie, l’utilizzo di “scatole cinesi” che acquistano beni senza pagarli e li rivendono al nero.

Da quel momento, l’allerta non è rientrata. Roberto Fontana, sostituto procuratore di Milano che fa parte del dipartimento crisi d’impresa, ha inquadrato il fenomeno proprio da quel punto di vista in un recente webinar. Sottolineando come esista uno spartiacque tra le le norme eccezionali previste per tutelare la continuità d’impresa durante l’epidemia di coronavirus e invece le aziende che si trovavano in preesistente stato di insolvenza, anche non dichiarata. “L’intervento legislativo avrebbe dovuto distinguere più chiaramente tra crisi dovute al Covid 19 e crisi preesistenti, ha spiegato il magistrato. Le prime andavano messe sotto una campana protettiva temporalmente più ampia, un blocco generale delle istanze di fallimento per tutto il 2020. Le seconde, invece, avrebbero ricevuto il messaggio forte di poter ricorrere solo ai normali strumenti previsti dalle norme concursuali. Non è stato così e abbiamo un quadro normativo meno netto”. Il magistrato avvisa: “Abbiamo già sentore di tentativi di accesso fraudolento alle risorse o di mascheramento del dissesto precedente. Il timore di un uso distorto delle regole non è astratto. Siamo consapevoli che c’è chi già opera in quella direzione”. Diversi i profili di reato: falso ideologico per dichiarazioni non veritiere, ad esempio sui dati aziendali, “ma in futuro se la situazione non si chiuderà in bonis e le risorse risulteranno servite a spostare gli equilibri tra creditori, potranno aprirsi altri scenari come la bancarotta semplice o quella preferenziale”.

Lo scenario di possibili distorsioni e rischi penali connessi ai decreti Cura Italia e Liquidità è chiaro anche ad avvocati e legali d’impresa. Che hanno salutato con favore il rinvio a settembre 2021 dell’entrata in vigore del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che avrebbe dovuto partire quest’estate. E stanno approfondendo i profili di rischio penale per amministratori, sindaci e banche deputate a concedere i prestiti agevolati. “E’ mutato radicalmente lo scenario – osserva Antonio Bana, penalista milanese – oggi non si può applicare un inquadramento dogmatico della continuità aziendale bensì bisogna parlare di recupero dell’equilibrio economico. Un significato dell’insolvenza e dello stato di crisi che chiama in causa ancora di più il ruolo degli organi amministrativi e di controllo”. 

Come però? Per accedere legittimamente ai benefici economici bisogna poter provare il nesso tra conti in rosso ed epidemia. Un onere che spetta ai manager, per i quali la parola d’ordine del prossimo futuro sarà “tracciabilità”: ricorso alla cassa integrazione, sanificazioni, assicurazioni, distanziamento sociale. L’intero percorso dovrà essere trasparente. A prova di avviso di garanzia. Così come la giungla delle autocertificazioni – pur considerata insufficiente dai pm – non lascia dormire sonni tranquilli ai richiedenti. L’avvocato Martina Emilia Scalia, dello Studio Bana, ha tracciato una panoramica dei profili di responsabilità penale in capo agli imprenditori che chiedono finanziamenti agevolati e, specularmente, in capo agli esponenti degli istituti di credito che li concedono. Evidenziando un rapporto di proporzionalità inversa: “Il legislatore ha alleggerito gli oneri delle banche, tenute a un’istruttoria solo formale pur in assenza di un vero ‘scudo penale’, e appesantito quelli del richiedente, che deve fornire una mole di documenti e autocertificazioni”. Ma quale rilevanza penale ha la falsa attestazione dei requisiti?  “Due, tendenzialmente, le possibili fattispecie di reato: falso ideologico di privato in atto pubblico e truffa aggravata ai danni dello Stato. Quanto al ceto bancario, al cospetto di una normativa che consente e incentiva l’erogazione di nuova liquidità senza una puntuale valutazione del merito creditizio, l’ipotesi di concorso nei reati di bancarotta semplice o di bancarotta fraudolenta per distrazione o per operazioni dolose andrà valutato con estrema cautela”.

Anche l’avvocato Giuseppe Fornari invita al binomio rigore più cautela nel valutare la situazione di questo particolare periodo: “Abbiamo una certezza: la crisi sanitaria lascerà in eredità un tessuto economico indebolito e, quindi, un terreno estremamente fertile per il fenomeno criminale. Farei però una netta distinzione tra due diverse tipologie di fenomeno criminale: da un lato, quella che sfrutta la situazione emergenziale; dall’altro lato, quella indotta dalla situazione emergenziale”. Nella prima categoria rientrano, secondo il penalista, “ad esempio, gli schemi fraudolenti ormai dilaganti in rete, la contraffazione dei prodotti sanitari, così come i cybercrimes ai danni delle imprese. La risposta a questi fenomeni deve essere la repressione da parte dello Stato, rigida e inequivocabile”.

Discorso diverso, invece per gli episodi potenzialmente criminali indotti proprio dall’emergenza: “Pensiamo a quanto sia facile commettere un errore in buona fede nella compilazione della autocertificazione necessaria a ottenere il finanziamento assistito da garanzia pubblica – avvisa Fornari – correndo così il rischio di vedersi contestati i reati di falso in atto pubblico o di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Oppure destinare parte del finanziamento a una finalità non esattamente coincidente con quella prevista ex lege, rendendo così contestabile il reato di malversazione. E lo stesso vale per la frequenza con cui il rappresentante legale dell’impresa può trovarsi in difficoltà nell’evadere i propri debiti tributari, integrando così i delitti di omesso versamento di IVA o ritenute”.

In conclusione, senza interventi normativi, l’avvocato auspica che venga preso in considerazione l’animus di chi commette il reato: “Serve una certa flessibilità operativa da parte della giurisprudenza e una grande attenzione nel vaglio dell’elemento psicologico del reato. In alcuni casi anche a costo di mutare alcuni, fino ad oggi solidi, orientamenti giurisprudenziali”. Vagliare in concreto, senza generalizzazioni. Sanzionare i furbi ma non rigirare la piaga nella drammaticità della Fase 3. Altrimenti, conclude Fornari, “l’esercizio della giustizia si risolverà in una ulteriore frustrazione del tessuto imprenditoriale, oltre quella della crisi in atto”.

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