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Eppur si muove

A giorni alterni l’Europa diventa, nell’opinione pubblica italiana, la causa di tutti i mali o la loro panacea. Se si guarda all’attualità politica da tifosi, del resto, difficilmente ci si può sottrarre alla commedia delle parti. Eppure. Eppure serve mettere le cose in prospettiva per poterne misurare la reale altezza.

Ieri il Consiglio europeo, che raccoglie i capi di Stato e di governo dei ventisette più il presidente del Consiglio europeo e quello della Commissione europea, ha compiuto un passo, un passo importante e soprattutto in una nuova direzione. Ha formalizzato quello che da giorni era ormai stato negoziato e deciso. Che cioè agli strumenti già presenti, Sure, Mes e Bei, si aggiungesse il ben più pingue Recovery Fund, il fondo per la ricostruzione sulle macerie economiche procurate dal blocco delle attività conseguente alla pandemia di Covid-19.

Fra la posizione di Paesi, Olanda in testa, che non avrebbero voluto concedere nulla a nessuno, e quella di altri, Italia in testa, che avrebbero accettato solo obbligazioni europee garantite mutualmente da tutti gli Stati, ha prevalso una soluzione intermedia, di buonsenso, e finalmente improntata a qualche indizio di solidarietà. Il fondo dovrebbe vantare una capienza di 2.000 miliardi di euro, e avrà per garanzia il bilancio della Commissione europea, che verrà per l’occasione accresciuto in maniera straordinaria.

Si continuerà a discutere, ovviamente. Soprattutto, diverrà oggetto di contesa se  il fondo potrà essere elargito anche in termini di sussidi, ossia senza obbligo di restituzione, oppure esclusivamente in termini di prestiti, con conseguente obbligo di restituzione. Ma è questione sulla quale difficilmente quattro settimane fa avremmo potuto sperare di confrontarci.

Dagli spalti già si contesta che il Consiglio non ha emanato alcun atto, ma solo formulato conclusioni. Il che è vero, perché il Consiglio non emana mai atti ma fa di più: decide la linea politica, che poi altri organi saranno tenuti ad adottare. La crisi del 2008 ha richiesto negoziati lunghi quattro anni per trovare un minimo di posizione comune. Questa volta sono bastate quattro settimane. Lontano dagli spalti, sul campo si fanno progressi.

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