Finalmente possiamo ritrovarci dopo il lungo periodo di forzata lontananza. Ed è strano ritrovarci noi quattro da sole. In terrazza. Quella stessa terrazza che ha visto i nostri giochi infantili, i piccoli litigi, le festicciole di adolescenti, le riunioni familiari, la mancanza di alcune persone care, il sopraggiungere di altre persone care. Ma questo pomeriggio la terrazza è tutta nostra, di noi quattro: le sorelle March, come mi piaceva immaginarci quando ero una ragazzina fresca di lettura di Piccole donne. In quegli anni ogni volta che leggevo un romanzo cercavo di trasportarlo poi nella mia vita e nei giochi che facevo con Gabri, la più piccola, la mia compagna del fare finta, la mia vittima (fino a quando non ne poteva più e, forte della sua maggiore stazza, me le dava di santa ragione). Attraversavo gli anni della fanciullezza atteggiandomi a Louise del Giardino segreto, o Maria Closelle di Piccola Robinson, o Wendy di Peter Pan, non disdegnando peraltro ruoli maschili: David Copperfield o Tom Sawyer e finanche l’Ultimo dei Mohicani.
Ma il mio cuore era nel tinello della famiglia March con Meg/Mariolina, Jo/Marcella, Beth/io, Amy/Gabri. Avrei voluto un altro secolo, dei lunghi e ampi vestiti, un camino intorno al quale riunirci, una mamma sempre saggia e un papà in guerra. Avrei voluto per me e le mie sorelle un andare sempre d’accordo, uno spirito di sacrificio a gara, delle prove in cui cimentarci. Un lieto fine.
Ed ora eccoci qui, quattro sorelle March dai 70 agli 80 anni riunite intorno al tavolinetto della terrazza, stranamente da sole senza il corteo dei giovani e meno giovani che hanno allargato la nostra famiglia. Quasi quasi ci sentiamo impacciate, non sappiamo di che parlare. Del passato? Troppa nostalgia. Del presente? Ma se non facciamo altro per telefono. Del futuro? Troppo rischioso. “Allora – dico – faccio un tè?” Vado in cucina, quella stessa cucina dove ho imparato a farlo il tè, prendo le tazze buone, di Nonna, quelle dove ci offriva la cioccolata, che il tè ancora da noi non si usava. Il tempo di arrivare con il vassoio in terrazza e l’infusione è già pronta.
Sorseggiamo e facciamo un po’ di gossip sul resto della parentela. Franco è appena tornato dall’ospedale, Flora ancora non si riprende per la morte di Paola e per la mancanza delle nipoti, Franca, malgrado l’età e la lombaggine, è in crociera e dice che l’animatore la corteggia a dispetto di tante ragazze, Giovanna è diventata la Barbablù delle badanti: è alla sesta, Ernesto continua il lockdown tanto gli è piaciuto, Rosetta vuole 100 invitati per i suoi 70 anni in barba agli assembramenti.
“Siamo diventati tutti vecchi e matti” sospira Gabri che è la più giovane della compagnia. “Ma che vecchi e vecchi. Con tutte le cose che abbiamo da fare non è certo il caso di piangerci addosso.” replica Mariolina. La conversazione si sposta sui nipotini, sulle coppie, sul lavoro, sui mutui, sui trasferimenti, sul futuro. E sì, la nostra Mariolina/Meg è sempre la più saggia mentre Marcella/Jo, la più intraprendente, fa la sua ennesima inascoltata disattesa proposta imprenditoriale.
“Ancora tè?” Prendiamo anche una fetta di crostata. “Buona, squisita, la più buona in assoluto.” Beh, non so che bilanci avranno fatto le sorelle March quando si saranno riunite intorno al loro camino fra i 70 e gli 80 anni. Probabilmente, come noi, avranno evitato di fare sottrazioni e si saranno concentrate sulle moltiplicazioni. Probabilmente, come noi, si saranno meravigliate di come ha fatto il tempo a correre tanto, da un camino ad un altro, da una terrazza all’altra. Uguale e diverso. Vicino e lontano.
“E’ strano, ritrovarci da sole. Non succedeva da un sacco di tempo.”
“Forse da quando ci costringevi a giocare alle sorelle March.”
“Giochiamo alle Piccole donne non si arrendono?”
Patologia: leggero stato di transfert della personalità.
Terapia: tè Pu’er (tè invecchiato a lungo) per cogliere il gusto del tempo e dei suoi sedimenti.
Libro: Piccole donne. O meglio Piccole donne crescono? di Louisa May Alcott.