Senza l’invenzione del gioco del calcio non ci sarebbe stato il genio al quale il calcio scorreva nelle vene, lui il destino lo aveva scritto nel DNA. Non si sa quando, non si sa come, sovvertendo ogni legge della statistica, ogni tanto viene al mondo un essere umano apparentemente uguale agli altri, ma che, crescendo, si capirà che è nato per scrivere una nuova pagina di storia. Lui la storia l’ha scritta con lo strumento più sofisticato che Dio gli aveva donato, i piedi, guidati alla perfezione da un corpo, guidato alla perfezione da un cervello, che inviava segnali chiari e precisi, continuamente ed immediatamente riadattabili ad ogni nuova situazione.
Per me, che sono un amante del gioco del calcio, rappresenta il numero Uno. Posso solo lontanamente immaginare quali emozioni provava, un argentino o un napoletano, nel vedere allo stadio giocare la squadra capitanata dal loro idolo, Maradona; aver vissuto la gioia di sentirsi vincenti, aver provato quella indicibile esultanza, che solo un tifoso può comprendere. Sapere che ogni partita sarebbe stata un riscatto, disposto a vendersi l’anima, sicuro di non perderla. Perché avevano dalla loro “il genio” padrone assoluto del campo, senza incertezze , senza esitazioni, unico obiettivo centrare la porta, avanti tutta, veloce, diretto, infallibile.
Trent’anni fa, io e mio nonno Tano eravamo seduti davanti la TV, aspettando il fischio d’inizio. Gli chiesi chi fosse Maradona e lui mi disse: comincia a guardare e lo capirai da solo. Lo capii e non lo dimenticai più. Alla notizia della sua morte, ho provato la tristezza della perdita, mi piaceva sapere che, da qualche parte del mondo, era la viva testimonianza di chi sa lottare, sempre e comunque. Mi mancherà vederlo abbracciare Papa Francesco, con lo stesso affetto, ogni volta che lo incontrava. Ciao Grande Uomo!